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Una vita in rovesciata: Daniel Pablo Osvaldo

Si scrive genio e sregolatezza. Si legge Daniel Pablo Osvaldo. Una sana “pazzia” donata al gioco del calcio. Un animo da artista. Ribelle, poetico. E si sa, agli artisti le convenzioni vanno strette. Qualità importanti, forse non espresse al massimo delle loro potenzialità. Ma a lui va bene così. È sempre andato bene così. Dal campo al microfono e agli strumenti. Il suo mondo, ora, è quello della musica. Da un’arte all’altra. 

 


Il fútbol, una passione latina

Sangue e temperamento latino. La mente che si muove tra l’Argentina e l’Italia. Le origini sono in Sudamerica. Fútbol e musica. Anima calda fatta di passione. Eccentrico e irrequieto. La sta storia parte dalle strade polverose argentine. Lanús la città. La stessa del suo idolo, Diego Armando Maradona. Poi Banfield, Huracán. La chiamata dall’Italia. Bergamo, Atalanta. Lontananza e solitudine. Lecce con Zeman e la chiamata da Firenze. Vieri, Pazzini e Mutu davanti. Le sue qualità, però, iniziano a venire fuori. Qualche polemica, i gol, l’esultanza alla Batistuta. Bologna, l’esperienza spagnola con l’Espanyol, la Roma e il ritorno in Italia. Il Southampton, lo scudetto alla Juventus e l’anno all’Inter. Poi il Boca, con un’esperienza al Porto. Il ritiro a soli 30 anni. Il breve e illusorio ritorno con il Banfield.

Nel mezzo giocate, ribellioni, rovesciate. Come il capolavoro segnato su assist di Gago poi annullato. L’arte strozzata dalla regole. Metafore di una vita. Metafore di una carriera. Quella di Daniel Pablo Osvaldo. Gol bellissimi, come quello con il Southampton contro il City, alternati a liti, come quelle con Andreazzoli, Lamela o Mancini. Qualità infinite, spesso non sfruttate. È fatto così. 

 


La musica

Io mi ritiro”. A soli 30 anni. Dal nulla, all’improvviso. Ci sarebbe da stupirsi, se non il protagonista non fosse Daniel Pablo Osvaldo. Un mondo che “non faceva più per me. A Cristiano Ronaldo piace tornare a casa e fare 150 addominali, a me piace tornare a casa e preparare il fuoco per il barbecue“. Un addio a quel mondo del pallone che troppo spesso l’ha fatto sentire imprigionato. “Sono sempre stato impulsivo e sensibile. Nel calcio non c’è spazio per la sensibilità. Ero stanco di essere un numero. (…). Un mondo finto, dove se fai gol sei un dio e se non lo fai sei una m…a”. Un mondo abbandonato per la sua vera passione: la musica. Un nuovo ruolo: frontman dei Barrio Viejo. Niente più dettami da seguire. Spazio al sentimento e allo sregolato genio.

Nicolò Franceschin

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