Avete presente il nostro 2006? Il luglio dei Mondiali, per intenderci: ovunque, ma proprio ovunque, c’era un gruppo di italiani a festeggiare gli azzurri. Ecco, pensate a una cosa del genere adesso, per un obiettivo che sembra più piccolo, ma che in realtà è immenso. Perché il Gambia di Tom Saintfiet ha compiuto un miracolo sportivo, superando per la prima volta nella storia le qualificazioni alla Coppa d’Africa.
L’ha fatto addirittura con un turno d’anticipo e arrivando al primo posto. Uno dei segreti? L’Italia. “Parlo quattro lingue” ci racconta il ct dell’impresa. È belga, ma ha girato il mondo allenando club e nazionali di Asia e Africa: “So il francese, l’inglese, il tedesco e l’olandese. Ma vorrei anche parlare un poco italiano” dice. E questa espressione è proprio in lingua. “E se penso al mio Gambia, ricordo a quanto ho imparato vedendo il vostro calcio”.
Davvero? “Davvero. Guardo tantissime partite ma non solo della Serie A. Ho fatto visita a molti club di Serie B e C negli anni: Cremonese, Palermo, Perugia, Gallipoli, Venezia… solo per dirne alcuni. Per me la vostra mentalità è fondamentale. Prendiamo il Gambia: era una squadra che subiva tantissimi gol”. La soluzione? “Catenaccio”. Di nuovo in italiano, guarda un po’. “Abbiamo ottenuto risultati storici facendo il 21%, a volte addirittura il 19% di possesso palla: se ti difendi bene, poi cresci e vinci. E a me vincere piace da matti”, sorride.
Grande cultura calcistica e grande semplicità. Saintfiet ha capito cosa serviva al Gambia per raggiungere l’impresa. È arrivato nel 2018, raccogliendo i frutti della crescita del settore giovanile locale. Ma serviva un po’ di internazionalità, ed è quella che ha portato lui. “Per esempio, non potevo non chiamare Barrow. Secondo me, uno come Musa è perfetto per il nostro modo di giocare: non era mai stato chiamato prima, perché si preferiva valorizzare chi giocava in Gambia. E poi si pensava che avrebbe avuto poco tempo per spostarsi”. Lui è stata l’intuizione: la prima di molte.
“Nella nostra squadra ci sono giocatori di ogni età. Ci sono Barrow o Ebrima Colley, per esempio; ma sempre dall’Italia, c’è anche uno esperto come Omar Colley”, colonna difensiva della Nazionale, portato già nel 2012 da un altro ct italiano, Luciano Mancini (l’intervista). E l’altro Musa? “Juwara ha già giocato con me. In queste settimane l’ho seguito al Bologna, e conferma gli ottimi movimenti. Ma è ancora un po’ troppo acerbo sulla tattica, deve imparare ancora qualcosa: quando lo farà, sarà pronto”. Asticella alta, per una Nazionale che vuole farsi notare.
E non è un caso che i giocatori in Europa siano sempre di più. Il gruppo ora conta circa una ventina di atleti che hanno lasciato l’Africa per giocare nelle nostre competizioni. “Ci sono due giocatori che consiglierei all’Italia. Uno è un attaccante, Assan Ceesay (qui la nostra intervista, ndr): ha 27 anni, lo so, ma ha segnato 7 gol in 2 anni e mezzo di Nazionale. Gioca in Svizzera da anni (Chiasso, Lugano, ora Zurigo, ndr) e può essere interessante. E poi c’è Sonko Sundberg: è un difensore di quelli tosti, gioca in Svezia e dopo aver fatto le nazionali giovanili lì, ha scelto il Gambia. Può diventare come Colley, magari partendo da una alta Serie B”, avvisa.
Sarebbero delle scommesse, un po’ come Saintfiet ha fatto con se stesso quando ha accettato il Gambia. Prima delle ultime partite, già si vedeva che qualcosa di buono era stato fatto con i due pareggi tra il 2018 e il 2019 contro l’Algeria: “Mi ricordo l’andata: allo stadio c’erano 45mila tifosi, con soli 25mila posti. C’era gente attaccata ai fari di illuminazione, dietro le porte, il clima era magico”.
Poi una vittoria per 1-0 contro il Marocco a Marrakech: “E lì ho capito che le qualità c’erano. D’altra parte, io sono venuto con l’ambizione di qualificarmi. Il presidente della Federazione mi diceva che prima avremmo dovuto vincere almeno qualche gara visto che in 5 anni di competizioni ufficiali, se ne era vinta una. Una soltanto. Ma ci abbiamo lavorato. E poi quando sei in fiducia, è tutto più facile Se abbiamo fatto qualcosa di storico? Sì, ma anche no: perché io sapevo che avremmo potuto farcela”.
Si potrebbe parlare a calcio per ore: Saintfiet racconta tutto e lo rende facilissimo. Su Whatsapp ha un’immagine con la moglie e la figlia in braccio. “Ora è un po’ più grande, gioca a calcio e si diverte molto”, dice. Ma un pensiero all’Italia l’ha mai fatto? Lui ride: “Sarebbe bellissimo. Ho conseguito la Licenza di allenatore nel 2012 studiando il vostro calcio: da Ranieri a Guidolin, fino a Mancini. Ma per un allenatore straniero, venire da voi è sempre molto difficile. La mossa giusta è capire la cultura a cui si va incontro: sportiva, ma non solo. Se uno pensa di imporre il suo metodo e le sue idee al 100%, allora al 100% fallisce. E poi, serve tantissima gavetta. Ci sono molti ex giocatori importanti che sono venuti ad allenare in Italia, con poca esperienza alle spalle: nessuno ha fatto bene. La mia filosofia è quella di imparare la filosofia degli altri, così si riesce”.
Grazie. “Ciao”. A proposito di Italia. Nello staff del ct, c’è anche Daniele Caleca (ex Sicula Leonzio), tra i preparatori. E tra gli osservatori, è da poco stato inserito Alessandro Soli, che mastica calcio europeo e africano da anni: sarà un altro paio di occhi a disposizione di Saintfiet. Calcio d’esportazione tricolore.
(si ringrazia Frank Simon per la consulenza)
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