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Dal Reno a San Siro: “Vale la pena sognare”. La storia di Robin Gosens

Il calcio è un libro fatto di storie. Storie di vita. Tante le strade. Tante le sfumature. Dai capitoli di chi ha sprecato il suo talento a quelli di chi si è scontrato con le sfortunate variabili della sorte. Poi ci sono le pagine di chi ce l’ha fatta, magari contro ogni aspettativa. Se si sfogliano queste pagine, tra una riga e l’altra, ci si incammina nella strada di un ragazzo tedesco. Dedizione, lavoro e forza di volontà le sue armi. Una strada che l’ha portato fino alla Serie A. Una carriera in cui forse solo lui credeva. Se l’è costruita. Passo dopo passo. Perché come dice il titolo della sua autobiografia, “vale la pena sognare”. Ora va di corsa. La nuova tappa è Milano. Il suo nome, Robin Gosens

  


La forza di credere nei propri sogni

Ci si ferma alla superficie. In una società dell’immagine ci si accorge solo di ciò che si vede, di ciò che appare. Ciò che c’è dietro resta nascosto, celato. Ed ecco che di Gosens si corre il rischio di apprezzarne il solo rush finale. Il suo strapotere fisico e la sua ascesa degli ultimi anni. Ma Robin tutto questo se l’è creato. L’ha pensato con la propria testa. L’ha conquistato con le proprie azioni. Una storia che parte dalla Germania, a 500 metri dal confine con l’Olanda. La città è Emmerich am Rhein. Da una parte del fiume la terra tedesca, dall’altra quella olandese. Un provino con il Borussia Dortmund. Un disastro. Fino a 18 anni gioca tra i dilettanti. Per diletto. Tra un lavoro da benzinaio e quella voglia di entrare in polizia:Andavo a scuola e pensavo che ormai fosse tempo di cercare un lavoro stabile. In Germania esiste un percorso di formazione specifico per entrare in Polizia e stavo intraprendendo proprio quella strada. Poi tutto è cambiato velocemente, sono passato da una piccola realtà al calcio italiano e all’Europa League”.
Il calcio inizialmente non era un’opzione seria per il futuro. Poi l’opportunità. La chiamata del Vitesse. Una chiamata arrivata tardi. Meglio così, forse: “Credo che se fossi entrato presto in qualche settore giovanile mi sarei stufato di regole e schemi da seguire. Io non sono così, quando ero più giovane mi sono divertito e ho giocato sempre a calcio con gli amici prendendo tutto il tempo che mi serviva. Dal giorno in cui ho firmato il primo contratto da professionista la mia vita è cambiata: ho sempre sognato di fare il calciatore ma in quel momento, avevo 19 anni, ho capito che potevo davvero farcela”.

 


Una sola strada: lavorare più degli altri

I miei compagni di squadra ridevano per la mia scarsa tecnica e la mancanza di coordinazione”. A raccontarlo Robin Gosens. Sì, quel giocatore che in campo sembra un treno in azione. Vitesse, poi Dordrecht e Heracles Almelo. Nel 2017 la chiamata da Bergamo: “All’inizio non pensavo fosse qualcosa di serio. Voglio dire, ho visto che l’Atalanta era tra i primi cinque del campionato di Serie A e non potevo credere che avessero seriamente interesse per me. Ma mi hanno convinto, sapevano tutto di me. Sulla via del ritorno, in aereo, ho detto a mio padre: è una pazzia che devo fare”.

 


 E Robin continua a disegnarsi la sua strada. Gli inizi sono difficili. Nuovo Paese, nuova cultura, nuova lingua. I dettami di Gasperini da comprendere. La soluzione, il lavoro. Tra le sessioni in palestra e le lezioni supplementari di tattica. La sua fascia diventa di sua proprietà. L’erba bruciata. Gli avversari sovrastati. Diventa grande e con lui l’Atalanta. Ad accorgersene anche la Germania. Arriva la chiamata dalla Nazionale. Ora lo step successivo. Milano e l’Inter. Dopo il calcio una laurea in psicologia. Ma per quella, c’è tempo. Ora vuole conquistarsi San Siro. Già, conquistarsi. Come ha sempre fatto. Una nuova pagina nel libro della sua carriera.

 

 

Nicolò Franceschin

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