La storia del calcio è fatta di epoche. Epoche segnate da uomini, squadre, dualismi. Questione di filosofie e rivalità. Questione, spesso, di predestinati. Predestinati come Pep Guardiola che un’epoca la sta segnando da quando la panchina è divenuta la sua casa. Rivoluzionario e visionario. Il Barcellona come inizio di tutto. Il Camp Nou come teatro in cui riscrivere le coordinate di questo sport. Il Tiki Taka, il falso nueve, lo spazio. E la storica rivalità con i blancos. Ora Guardiola è volato oltre la Manica. Il City come evoluzione del suo pensiero. Il sogno della Champions da vincere. Il Real Madrid contro. Una volta ancora.
Il genio, la maniacale esigenza di migliorare e migliorarsi, la riflessione e il lavoro. L’approccio di Pep Guardiola è stato un continuo e dinamico evolversi di idee. La tradizione blaugrana che si incontra con l’innovazione. Una filosofia che cambia se stessa, apportando quelle modifiche necessarie per cadere mai negli stigmi di vecchio o banale. È sempre stato così. Dal Barcellona al Bayern Monaco, arrivando al Manchester City. E in ogni processo ci sono dei momenti che a loro modo possono rappresentare tappe cruciali. Spartiacque decisivo verso i nuovi cambiamenti. E nel cammino guardiolista il Real Madrid ricopre un ruolo significativo. 5 febbraio 2009. È il clasico di ritorno della Liga. Una partita che cambierà la storia di Guardiola, di Messi, del Barcellona. E, forse, del calcio. È l’affermazione del falso nueve. Il numero 10 argentino come attaccante. L’esaltazione del tiki taka. La vittoria dell’intelligenza, degli spazi, delle idee. Il Barça supera i rivali con un tennistico 2-6.
Una rivoluzione nel panorama calcistico. Una rivoluzione che Messi spiegò ai microfoni del canale ufficiale della Liga: “Ricordo che fu una sorpresa per me, perché mi chiamò il giorno prima della partita, mi fece venire al centro d’allenamento, nel suo ufficio. Mi disse che aveva guardato molto le partite del Real Madrid, come faceva sempre con tutti gli avversari, che aveva parlato con Tito e che avevano pensato di farmi giocare come falso nueve. Che avrebbero messo Eto’o ed Henry larghi e che io sarei stato il falso nueve: per abbassarmi con i centrocampisti. È stata una sorpresa per noi e per il Real Madrid. Ricordo in quella partita abbiamo avuto molto possesso, eravamo sempre uno in più in mezzo al campo e io“. Visionario.
Quella con il Real poi diverrà una rivalità assoluta. Con il Real e con quello che nel 2010 sarà il allenatore dei blancos, Josè Mourinho. Una sfida, quella con il portoghese, iniziata già nell’anno del triplete nerazzurro. Il Barça di Pep e di Messi contrapposto al Real dello Special One e di Cristiano Ronaldo. Dualismi che assumono i tratti dell’epica. E sarà proprio CR7 a condannare l’allenatore spagnolo e il Bayern Monaco nelle semifinali di Champions del 2014. La rivincita contro il Real Madrid Guardiola se la prende nel 2020, sempre in Champions. Questa volta la panchina è inglese. La panchina del Manchester City. Semifinale che costituisce un’altra decisiva istantanea dell’evoluzione del calcio di Guardiola. Questa volta l’immagine di tale cambiamento non ha il numero 10 sulla maglia. Questa volta non è Leo Messi il simbolo della svolta tattica e concettuale dell’allenatore, bensì Kevin De Bruyne. Il belga costituisce l’essenza e la miglior rappresentanza del calcio totale di Pep. Non solo centrocampista, ma anche attaccante, come successo proprio nella sfida di Champions contro il Real Madrid del 2020. Gabriel Jesus allargato sulla fascia e lo spazio centrale lasciato all’intelligenza di KDB. L’evoluzione del Tiki Taka. Il razionale dinamismo di Pep Guardiola. E ora l’obiettivo è quello di conquistare la Coppa dalla Grandi Orecchie anche oltre la Manica. Ancora una volta l’avversario da superare sarà il Real. Il destino nelle loro mani. Perché come disse l’allenatore, citando De Gregori, ragazzi: “La storia siamo noi, ma è evidente che se il Manchester City gioca come sa, diventiamo davvero una buona squadra”.
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