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Valentino
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Alla conquista dell'Est: il nuovo American Dream e le occasioni dall'America
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L'American Dream è tutto. Non è uno tra tanti, è IL concetto: parti dal basso, ti rimbocchi le maniche, arrivi. Obiettivo, determinazione: tutti possono riuscirci, tutti devono avere la possibilità di provarci. Gli Stati Uniti l'hanno sempre sostenuto: è il loro mantra. I musicofili più appassionati ricordano di Woody Guthrie e quelle ballate country alla conquista del west, raccontando la storia di quel Tom Joad che è diventato un po' il personaggio simbolo delle sue canzoni. Sogno di vita, speranza, crescita. Oggi come allora, anche se il tuo sogno si chiama “Soccer”. Anzi, a dirla tutta: se ora sei un calciatore, e sei nato negli USA o in Canada, il tuo sogno va dall'altra parte. Alla conquista dell'Est.

  

E ci stanno pure riuscendo in tanti, cosa che già rappresenta una conquista per il calcio nordamericano. Prima era uno sport di (non per) pochi. Ora anche sul calciomercato si sta dimostrando decisamente protagonista: McKennie lo conosciamo, Reynolds è approdato alla Roma; ma anche Pulisic (Chelsea), o Reyna (Borussia Dortmund), Jonathan David (Lille), Alphonso Davies (Bayern Monaco), Cyle Larin (Besiktas, 10 gol finora) per citarne alcuni. Tutti giocatori da top club. “Per il nostro sistema è una grande conferma”, ci racconta Nick De Santis. Cognome italianissimo, origini molisane: è canadese con esperienza ultra decennale (prima calciatore, poi allenatore, quindi dirigente) nel Montreal di Joey Saputo. Un altro che l'est lo sta conquistando a poco a poco alla guida del Bologna. 

 

 

Ma cosa sta cambiando? “Tutto: gli investimenti, la percezione che questa possa diventare una grande opportunità per un salto di carriera. Ma lo sapete che i giocatori nordamericani vengono sempre ammirati perché non si lamentano mai? Me lo disse Di Vaio una volta, quando era con noi a Montreal: era stupito dal fatto che molti suoi compagni, che non vedevano il campo, mantenevano un'intensità nel lavoro quotidiano altissima”. Il calcio sta piacendo sempre di più: è lo sport più praticato dai giovani statunitensi. Che già a 15-16 anni si trovano di fronte a una scelta: decidere di andare nelle academy dei club europei (se non direttamente in Europa), o provare a sfondare in MLS. “Secondo me” continua, “In cinque o sei anni diventerà tra i primi dieci campionati del mondo. Non parliamo più di una competizione con tanti soldi, in cui vengono a giocare calciatori a fine carriera. Ma una vera e propria fabbrica di talenti”. Come Reynolds, appunto. O Araujo, difensore dei Galaxy che, a 19 anni, sta iniziando a fare gola a tutto il mondo.

  

Ma come nascono questi talenti? “Si può pescare ovunque. Di recente, in Texas e California sono emersi tanti giocatori interessanti. Li aiuta il clima”. Eh? “Sì, il clima. Perché possono giocare sempre all'aperto e su stadi in erba. Non in palazzetti al chiuso e sul sintentico. Non è un caso che a Dallas, per esempio, si siano stabilite anche le academy di Psg, Real Madrid, Barcellona... Hanno capito che c'è un potenziale enorme. Ma si tratta di una tendenza che si sta allargando ovunque, e non parlo solo di giocatori”.

 

 

Cioè? “Mi riferisco allo staff. Prima, la concezione era che ad allenare le categorie di ragazzini fossero i genitori. Ora, invece, ci si affida a professionisti, che hanno un contratto anche economicamente importante: parliamo di circa 100mila dollari all'anno per gestire gli under 13, 14 o 15. Allenano due o tre squadre simultaneamente, portano avanti una loro idea e permettono ai calciatori di crescere secondo un progetto su più anni. È il segnale di una progettualità mai vista prima”. 

 

 

Talenti non per caso, insomma. “E aumenteranno sempre di più: questo è un mercato che ancora vede molti giocatori andarsene via a zero verso l'Europa”. Ma il valore aumenta, e la bottega diventerà più cara: De Santis, per esempio, è diventato ora un consulente per le famiglie di giovani giocatori. L'obiettivo è quello di seguirli fino ad arrivare all'avviamento di una carriera da professionisti. “Il nostro obiettivo è che prima di tutto siano i ragazzi stessi a capire il loro potenziale, che decidano che sia meglio crescere ancora in America per poi trasferirsi eventualmente dopo in Europa”. Generando valore. La conquista dell'Est, appunto. Che diventa sempre più consapevole. I McKennie non sono già più una sorpresa. Lo saranno sempre meno.

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