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Valentino
Della Casa

Quei telefoni cambiati e l'accordo... via mail: Mandzukic e il suo arrivo al Milan
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Ma quindi adesso ci dobbiamo sentire per mail?”. “Non so, Mario. Se continui a cambiare numero e ti dimentichi di darmelo…”. “Va beh, si sono decisi?”. “Ci siamo quasi. Sei pronto?” “E me lo chiedi?”. Deve essere andata più o meno così a inizio gennaio, quando quella che era un'idea nata mesi prima, era diventata quasi di colpo un'opportunità. Ma per conoscere a fondo il trasferimento di Mandzukic in rossonero non basta il racconto degli ultimi giorni. Forse nemmeno degli ultimi mesi. Avete presente quella concatenazione di eventi che partono dalla preistoria per arrivare al presente? Ecco, quasi.

 

 

A rispondere al giocatore era Giacomo Branchini, ormai abituato a quelle Sim che Mandzukic cambia spesso, fin troppo: vuole la massima privacy, è uno dei pochi modi per riuscire a ottenerla. Ed è per questo che per dirgli che la trattativa con il Milan stava per arrivare alla conclusione, era servita una mail. A dirla tutta, l'attaccante il telefono manco lo guarda così tanto: preferisce gli incontri faccia a faccia. Non è un caso, infatti, che dal punto di vista formale un agente nemmeno ce l'abbia più: con chi lo segue fin da quando era ragazzo, Ivan Cvjetkovic, il rapporto è diventato tanto stretto da essere ormai come uno di famiglia. 

I primi contatti

Si erano conosciuti, Mario e i Branchini, a Monaco, quando giocava nel Bayern. Nell'estate del 2013, Giovanni Branchini aveva lavorato in gran segreto alla firma di Guardiola con i bavaresi e Cvjetkovic aveva colto l'occasione per chiedere un aiuto per Bruno Petkovic, giovane attaccante croato allora in difficoltà nella Primavera del Catania. Giacomo Branchini, figlio di Giovanni, si era messo subito al lavoro (e ora Petkovic segna, tanto, per la Dinamo Zagabria ed è tra gli attaccanti principali della sua Nazionale). Di qui, quasi per caso, i primi contatti con Mandzukic. 

 

 

Il risultato? Dopo averlo conosciuto, per loro era stato facile far conoscere ancora di più le qualità dell'attaccante: non a caso era nato l'interessamento dell'Atletico Madrid prima, della Juventus dopo. Tra Spagna e Italia, il croato vive 5 anni bellissimi. Poi, in autunno 2019 qualcosa si rompe. Non se lo sarebbe aspettato nessuno.

 

 

Arriva Sarri, e con lui le panchine fino a una progressiva esclusione. Per un calciatore che vive di sfide, agonismo e, perché no, di protagonismo, è davvero troppo. Mario, ferito e deluso dal trattamento, di sua iniziativa decide di trasferirsi in Qatar, interrompendo i rapporti con tutti e cambiando il numero di telefono. Ça va sans dire, direbbero i francesi. L'idea di andare all'Al-Duahil è figlia proprio di questo: un taglio, forte, con il calcio europeo che lo aveva quasi dimenticato. Ma non poteva durare: stadi poco pieni anche in tempi normali, allenamenti quasi inesistenti. Una passerella che non può funzionare.

 

 

Quindi, la risoluzione del contratto e l'attesa. Mario torna in Croazia e comincia ad allenarsi. Tanto. Tantissimo. Ingaggia dei preparatori che lo fanno lavorare sia per la parte atletica, sia con il pallone. “Così quando mi chiamano, sono pronto”. Qualche telefonata – con altro numero – ad Allegri, con cui è rimasto legatissimo: gli confessa di non vedere l'ora di avere una nuova occasione. Poi, inizia a concretizzarsi l'operazione Milan. Ma occorre un altro flashback.

Arriva il Milan

Sì, perché il rossonero sembra proprio nel suo destino. La prima avvisaglia è di oltre un anno fa. Zvone Boban, allora in società, aveva sondato il terreno con Giovanni Branchini. Manduzkic era ancora nella Juve e Boban aveva chiamato il suo ex agente (l'unico che ha avuto per tutta la carriera) per capire se si potesse intavolare un discorso. Sarebbe stata la prima operazione fatta da dirigente con la sua vecchia agenzia, ma i tempi non erano maturi e non si andò avanti.

 

 

Quindi, dicembre 2020. A inizio mese, i Branchini si recano a Casa Milan per parlare di Pavoletti, che ai rossoneri piace molto. Poi, però, una domanda quasi a bruciapelo: “Ma Mandzukic come sta davvero? Potremmo provare a riportarlo qui per sei mesi con opzione di rinnovo?”. Da lì comincia tutto. Il Milan ci pensa sempre di più e dà loro il mandato per avviare la trattativa. Le voci si rincorrono, ma non sono Pavoletti o Marcwhinski (sempre della scuderia Branchini) i giocatori seguiti: no, c'è solo Mario, che oltre ad allenarsi, nella sua testa ha anche cambiato il modo di vedere le panchina. 

 

 

Voglio un progetto forte, voglio tornare a divertirmi. E se all'inizio farò pochi minuti, fa niente…”. Avanti tutta, quindi, fino a quella famosa mail. Il tono? Formale, nonostante l'amicizia che li lega da quasi dieci anni. Un aspetto quasi tragicomico. “Caro Mario, dovremmo inviarti la proposta del Milan”. Il giorno dopo, Giacomo Branchini riceve la chiamata da un numero non memorizzato. Ha già capito tutto. In poco tempo, il giocatore è a Milano per la firma, dopo aver superato le visite mediche con risultati eccellenti, quasi sbalorditivi, tanto che contro l'Atalanta ha già modo di scendere in campo per oltre venti minuti. Ora, è di stanza a Palazzo Parigi. Sta benissimo ma non ci resterà molto. Non cerca case lussuose, non gli interessa. Vuole privacy e la possibilità di restare concentrato su quello che da un anno gli è stato tolto: giocare per grandi obiettivi. Quando troverà casa, la aprirà a poche persone: gli amici di sempre, Branchini inclusi, e non molto di più. Il numero di telefono? Quello continuerà a cambiare, c'è da giurarci. Ma non sarà un problema.

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