Si dice che la storia sia ciclica e i cerchi si chiudano. E nessuna storia lo è come quella del calcio. Un racconto che sa appassionare e stupire una prima volta e riproporsi in maniera differente anche a distanza di anni, molti, facendo riemergere vecchi ricordi o romanticismi nonostante non siano più attuali. Si potrebbe sintetizzare così la sfida tra Benfica e Ajax di questa Champions League.
Due squadre lontane dai fasti di un tempo, ma con un fascino retrodatato che torna ad ammaliare puntale a ogni incrocio. Due squadre che si sono incontrate in tempi recenti (nei gironi di Champions League dell'edizione 2018), ma che riporta indietro le lancette dell'orologio alla fine degli anni Sessanta.
La sfida infinita
Sono i quarti di finale dell'allora Coppa Campioni del 1969, mese di febbraio per la precisione. Benfica-Ajax non vale solo la semifinale, ma il verdetto dell'eterna sfida tra i due più grandi dell'epoca, come ciclicamente, appunto, accade. Nelle Aquile gioca Eusebio che ha già vinto quella coppa nel 1962 e ha alzato il pallone d'oro nel 1965. Nei Lancieri c'è un ragazzo con il numero 14, inedito al tempo perché destinato solo alle riserve in quanto i numeri andavano dall'1 all'11 per i titolari: Johan Cruijff.
Due squadre che rivoluzionarono il calcio dell'epoca. Da una parte la fisicità e la tattica passa-repassa-chuta (passa-ripassa-tira) che si esaltava con la Pantera Nera Eusebio dall'altra il primo calcio totale olandese che trovava nel Pelè Bianco Cruijff (soprannome coniato da Gianni Brera) l'esaltazione massima.
All'epoca la Fifa non aveva ancora inventato i tiri di rigore per decidere la qualificazione così dopo un doppio 3-1, con Cruijff due volte sul tabellino, si arriva allo spareggio. Altra sfida equilibratissima che sembrava premonire un numero di ripetizioni infinto, finché al secondo minuto dei tempi supplementari Joahn sbloccò la partita che si concluse poi 3-0. Quell'Ajax arrivò sino alla finale del Santiago Bernabeu e si arrese al Milan, proprio come fece sei anni prima il Benfica. Un altro intreccio, dunque.
Ma quella delusione fu la spinta che consacrò poi quell'Ajax. Nuova sfida tra olandesi e portoghesi nel 1972. Semifinale. Cruijff, campione d'Europa e Pallone d'Oro in carica ritrovò Eusebio. Questa volta bastarono due partite e un solo gol tra andata e ritorno ai Lancieri per prendersi la finale, e poi la coppa, calando poi il tris l'anno dopo. Tre come i Palloni d'Oro che metterà insieme Johann, vincendo nel 1973 e '74.
La maledizione di Guttmann
Eusebio vinse una sola delle due Coppe dei Campioni della storia benfichista, nel 1962. Una data simbolo che si intreccia con il mistico, quando l'allenatore fu allontanato dalla panchina, nonostante la vittoria europea. Il nome? Bela Guttmann.
Il primo maggio di quell'anno scagliò la sua 'maledizione': "Il Benfica non vincerà più in Europa per i prossimi 100 anni". Maledizione, sfortuna o poca bravura che sia, quella Coppa rimane tuttora l'ultima benfichista fuori dal Portogallo. Da allora altre tre finali di Champions e tre di Coppa Uefa/Europa League. Sempre lo stesso esito.
L'amicizia tra Cruijff ed Eusebio
Ma tornando ai protagonisti di quelle notti che incrociavano Lanceri e Aquile, la storia non si esaurisce in campo. Johan e Eusebio si rispettavano e si stimavano, dentro e fuori dal campo. Erano amici, due lingue diverse, accomunate da quella universale del talento. Dopo la Coppa dei Campioni vinta nel 1973, quell'anno il campione olandese decise di passare l'estate all'Algarve proprio con il rivale e amico. Altro cerchio che si chiude.