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Redazione

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Dalla parola d'onore alla paura: intrigo Baggio, quando «Roby» alla Juve fu un caso
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Napoli-Fiorentina ricorda un gol. Un bellissimo gol di un giocatore straordinario: Roberto Baggio. E' la stagione 89-90 e il Divin Codino parte da casa sua, semina il panico, mette a sedere il portiere e fa centro. Wow. Impressionante. Un po' come la trattativa, storica, che lo ha portato dalla Fiorentina alla Juventus

 

 

Cinque stagioni viola di gol, giocate incredibili e un amore viscerale, fino a quel contratto che sta per scadere e non verrà rinnovato. La famiglia Pontello, infatti, ha deciso di vendere e non può perdere capitale sociale, figuriamoci se si tratta del valore di Baggio. Quindi le strade sono due o, meglio, una sola obbligata: venderlo subito al miglior offerente, per non perderlo dopo dodici mesi alla cifra di parametro già stabilita, appena 2 miliardi di lire. Iniziano i primi contatti: si fa sotto prepotentemente il Milan di Silvio Berlusconi, che stringe la mano a Caliendo, e verso la fine della stagione s’inserisce la Juventus di Luca Cordero di Montezemolo, pronto a prendere la vicepresidenza del club e intenzionato a presentarsi con un botto di mercato di altissimo livello. La prima reazione di Baggio è d’istinto. O di cuore, decidete voi.

 

 

«No, alla Juventus non ci vado. A Firenze mi ammazzano.» Ma i bianconeri insistono e fanno pressione, fino a far crollare il muro. A inizio maggio, Montezemolo chiama l’agente del giocatore. «Guardi, abbiamo comprato il cartellino di Baggio e vorremmo discuterne il contratto...» Un sospiro di pausa. «Vi daremo esattamente tutto quello che vi ha promesso il Milan.»

 

 

In quel momento, tra il Divin Codino e i rossoneri non c’è nulla di scritto ma solo una parola d’onore, che però per Caliendo vale più di dieci firme. La risposta del procuratore è immediata. «Se mi fa chiamare da Berlusconi e mi libera dall’impegno preso, allora veniamo da voi!» Detto fatto. E quando entrano in gioco i poteri forti non c’è strategia che tenga. Agnelli prima telefona a Berlusconi e gli chiede, cortesemente, di ritirarsi dalla corsa a Baggio, poi fissa un bell’appuntamento a Torino per accertarsi che la linea sia comune e non cambi all’ultimo. Gianni manda un elicottero direttamente su Arcore a prelevare Berlusconi e Galliani.

  

 

«Portateli in cima a corso Marconi» dove c’è la sede della Fiat. Inizia la cena, un incontro piuttosto galante ma dai toni cordiali. Il bianconero la prende alla larga. «Cavaliere, lei sta vincendo tanto, lo Scudetto, Coppe... non può prendere anche Baggio! Deve lasciarlo a noi.» Un patto di simpatia tra gentiluomini. Adriano si morde la lingua e guarda dritto negli occhi il suo presidente, Silvio, che da sotto il tavolo gli rifila due-tre calcetti niente male. «Va bene» è la replica del Milan all’uomo, forse, più potente d’Italia in quel momento, che in cambio avrebbe garantito al numero uno rossonero un lasciapassare non da poco verso l’acquisizione della casa editrice Arnoldo Mondadori. Fuori, Firenze schiuma di rabbia e verso la fine di maggio vengono fermati un centinaio di tifosi, ventisei dei quali arrestati. Piazza Savonarola, davanti alla sede della Fiorentina, e piazzale Donatello, davanti casa del conte, sono presi d’assalto. Senza contare i feriti e tutti i danni, seri, ai cantieri edilizi dei Pontello presenti in città. Dentro, nel cuore della trattativa, arriva la svolta. Galliani chiama Caliendo. «C’è il presidente che la vuole vedere.» Con tono solenne, Berlusconi, di fatto, annuncia il suo dietrofront.

«La devo ringraziare per come si è comportato nei nostri confronti, per il rispetto che ha avuto del Milan.» Titoli di coda, Baggio va così alla Juventus per 26 miliardi di lire. Un caso di Stato, forse il primo nella storia del calciomercato italiano.

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