Un percorso di quindici anni. Davide Nicola tornerà a Torino da allenatore: sono bastate poche ore di trattativa, in attesa della firma. Non c'è tempo da perdere, bisogna uscire dalla crisi di risultati e dare una svolta alla stagione e un segnale all'ambiente. “Non fu così diverso nel 2005”. A raccontarlo è Fabrizio Salvatori, primo direttore sportivo dell'era Cairo che in sei giorni fece un miracolo: costruire una squadra solo in parte riassemblata dopo il fallimento, per provare a raggiungere la Serie A. “Sono bastate poche ore di trattativa”. Ripetiamo la frase, appunto.
Quella volta, però, Nicola era giocatore. Il Torino aveva ottenuto il permesso di trattare a mercato finito: una settimana extra a settembre per le compravendite, prima dell'esordio targato De Biasi contro l'AlbinoLeffe. “Era un martedì”, continua Salvatori, “Nella nostra squadra, tra gli altri, mancava l'esterno destro. Alla Ternana, Davide era fuori rosa: parlai con l'agente, Moreno Roggi, e gli chiesi se se la sentisse di venire”. L'ingaggio era pesante, ben oltre le possibilità del rinato Torino: “Non importa”, fu la risposta di Roggi. “Davide vuole tornare vicino a casa (è di Vigone, ndr) e l'idea di partecipare a questo progetto lo entusiasma”. Così, ventiquattro ore dopo, il contratto era pronto per essere firmato: con un ingaggio ridotto ma la possibilità di giocare con regolarità.
Due episodi
“Da calciatore, Nicola è stato tutto diverso rispetto a quello che si dimostra da allenatore”, dice Salvatori. “In panchina è arcigno, quando giocava era molto più propenso a scherzare e sdrammatizzare. Di lui ricordo due episodi in particolare. Il primo era un rito, più che altro: ogni sabato sera, nell'hotel del ritiro, metteva in scena con alcuni compagni una sorta di siparietto che andava a coinvolgere anche De Biasi. Era diventato quasi un rito scaramantico”. Il secondo, invece, mostra più il carisma: in un periodo non particolarmente positivo, Nicola si presentò in conferenza stampa davanti a tutti i giornalisti con un biglietto attaccato sulla schiena. Recitava, in maniera molto colorita, il fatto che lo spogliatoio non fosse spaccato. “Mi ricordo che il presidente si arrabbiò: l'immagine era in effetti molto forte, ma io sdrammatizzai. Era stata una goliardata da un lato e un atto di coraggio dall'altro, dava un'immagine ben precisa dello spogliatoio”. E dell'uomo.
Nelle cartoline di quella stagione, c'è una foto di Nicola che esulta con rabbia al gol nella finale di playoff contro il Mantova. Fu decisivo per la Serie A. Ha cinque mesi per ripetersi.