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Lorenzo
Cascini

L'affaire Figo, il caso che ha rivoluzionato il mondo del calciomercato
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Alle origini di questa storia c’è un immagine, fatta di silenzi e riflessioni, che sarà poi decisiva per la conclusione di un’operazione che ha rivoluzionato il modo di vedere e raccontare il calcio. E il calciomercato. Al centro della prima fotografia del nostro racconto ci sono Paulo Futre e Jose Veiga: il primo è un ex giocatore dell’Atletico Madrid e della nazionale portoghese - con una comparsata di un anno anche nel Milan di Capello - il secondo invece è un grande procuratore, una specie di Jorge Mendes dell’epoca. I due parlano al telefono e tra bluff e pause, pongono le basi per quello che sarà un trasferimento epocale. Ma in realtà, sullo sfondo, in una zona d’ombra si possono intravedere - quantomeno metaforicamente -  i veri protagonisti della storia. Da una parte Florentino Perez, dall’altra Luis Figo. In mezzo il Real Madrid. Ma ci torneremo. 

 

Inquadriamo il contesto, per prima cosa. Siamo intorno alla metà degli anni novanta, Figo è il fiore all’occhiello della “Generacion de Oro” del calcio portoghese, ha debuttato in nazionale a soli 19 anni e ne è presto diventato simbolo e leader tecnico. Nell’estate del 1995 passa al Barcellona di Bobby Robson, l’allenatore che lo aveva fatto esordire con lo Sporting quattro anni prima. 

 

   

 

 

Sbarca sul pianeta blaugrana al termine di una telenovela di mercato - tanto per cambiare quando si parla di lui - che verrà ribattezzata dai giornali italiani come “l’Affaire Figo”, parafrasando il titolo del libro di Leonardo Sciascia sul rapimento di Aldo Moro. Già, perché il fuoriclasse portoghese solo pochi mesi prima si era trovato al centro di una trattativa complicata tra Parma e Juventus: prima ha dato la sua parola ai gialloblù, poi ha firmato per i bianconeri grazie a un blitz di Bettega e Moggi, poi di nuovo per il Parma. Insomma non ci si capisce più nulla. Tanto che l’affare diventa una questione di stato oltre che motivo di scontro tra due famiglie, gli Agnelli e i Tanzi, che nella metà degli anni 90’ si spartiscono il territorio economico italiano e non solo. La vicenda si conclude con un nulla di fatto, nessun contratto è valido. Parità. E tra i due litiganti la spunta il Barcellona. Ma questa è un’altra storia. 

 

 

Figo in blaugrana resta cinque anni, vince due campionati e una Coppa delle Coppe, domina la fascia destra e rivoluziona il ruolo dell’esterno. Tecnica, colpo d’occhio, astuzia, velocità di esecuzione. Ha tutto. È una star, i tifosi lo amano, il mondo è ai suoi piedi. Eppure lui sente che qualcosa non gli basta, non sente nel club la fiducia e la considerazione che si aspetta. Questa la prima picconata che porta alla rottura completa del vaso. È l’estate del 2000, Figo fa un gran gol contro l’Inghilterra ai gironi e poi esce in semifinale contro la Francia di Zidane. Prima del torneo, in conferenza stampa, si lascia scappare un “al Barcellona non si capisce con chi devo parlare”. Tradotto: non mi sento coccolato e ben voluto. Altra picconata. Intanto il suo agente Jose Vega stava trattando con il club catalano per un aumento, ma senza successo. Niente da fare, Gaspar è irremovibile. Da qui parte l’idea Real Madrid, le chiacchierate con Futre e il lungo corteggiamento di Florentino Perez. 

 

Dall’altra parte, in Castilla, si stanno tenendo nello stesso momento le elezioni presidenziali. Florentino si sa, è uno che vuole sempre e solo vincere e Figo è il mezzo per arrivare alla ‘casa Blanca’. “Ci sono due modi di vincere, vincere con lettere minuscole o farlo con le maiuscole. Noi, che siamo al Real Madrid da generazioni, abbiamo sempre scelto la seconda opzione. Io voglio solo riportare il club ad avere quel prestigio internazionale per cui in tutto il mondo è conosciuto”. Questo era lo slogan per arrivare alla vittoria. È così fu. Il Real diventò quello dei Galacticos, di cui Figo fu il primo diamante. 

 

 

 

 

Già, perché Florentino Perez pagò la clausola da 60 milioni di euro,mettendo la parola fine a una telenovela che da mesi stava spaccando in due l’opinione pubblica spagnola. Pomo della discordia fu un contratto, di cui Figo ha negato per anni di sapere l’esistenza. Anche perché il ragazzo, fino ai giorni precedenti alla chiusura dell’affare, continuava a dire che sarebbe rimasto al Barcellona o comunque a non prendere una posizione. Caos totale. Luis Figo divenne Giuda, accusato di aver tradito e di aver illuso i tifosi con bugie e segreti. Passerà alla storia come il Grande Tradimento. Tanto che al Camp Nou, al primo Clasico da ex, gli verrà tirata addosso una testa di maiale. No, nessuno da quelle parti lo dimenticherà mai. 

 

 

 

Rinnova, va via, resta, smentisce, conferma. Nei giorni precedenti alla chiusura della trattativa non si capisce nulla e la confusione del giocatore non aiuta: prima rilascia un’intervista a Sport in cui dice che sarebbe rimasto a Barcellona. Quindi discorso chiuso, resta. Macché. Neanche ventiquattro ore dopo, parla a Marca dicendo di non sapere nulla su quello che sarebbe stato il suo futuro. Da qui i tifosi blaugrana iniziano a prendersela. Si sentono spaesati, traditi, in un certo senso vuoti. “La Gran Trascinó” ebbe inizio in quei giorni. Il grande Tradimento. E nessuno glielo ha mai perdonato. 

 

 

 

Luis Figo ha unito e diviso. A volte ha ingannato chi aveva davanti, come faceva con i difensori a suon di finte e dribbling. Ne è sempre uscito a testa alta, anche dalla confusione. È stato capace di rompere un tabù storico, di togliere un velo che durava da un secolo: per un grande giocatore non ci sono tratte o mete impossibili. Neanche se la chiamata è quella degli eterni rivali, che in questo caso però sono i più forti di tutti. Il portoghese è riuscito nell’impresa di far innamorare prima il Camp Nou e poi il Bernabeu, grazie a un talento puro, un po’ romantico e un po’ retro. Un giocatore di altri tempi che sapeva adattarsi benissimo ai ritmi del suo presente, capace di capire l’evoluzione del calcio a cavallo degli anni duemila. In campo è stato - ma lo è anche oggi al di fuori del calcio - un personaggio moderno, colto, scaltro, un perfetto assistman e un gran discepolo del se, inteso sia come artista del pallone che come professionista a tutto tondo. Ci ha insegnato che le bandiere si scuciono molto più facilmente di quello che si pensa e che a volte l’amore della gente non basta. Rivoluzionario, che ha spalancato le porte a una nuova era del mercato. 

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