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Cosimo
Bartoloni

Flachi: "La leva e la Nazionale con Del Piero, l’amore per la Fiorentina e la Samp. E ora sono in campo"
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Portsmouth, 22 dicembre 1993. La Fiorentina sta giocando l’ultima partita valevole per il gruppo B della Coppa Anglo-Italiana (torneo in cui partecipavano otto squadre inglesi e otto italiane, soppresso nel 1996). Al 28’, sul risultato di 1-0 per gli inglesi, Giovanni Tedesco si fa male. Al suo posto entra un giovane ragazzo di diciotto anni. Porta la maglia numero 16 e non lo conosce quasi nessuno, ma quella sera avrebbe scritto la sua prima pagina di storia nel calcio professionistico: nel secondo tempo, infatti, il giovane serve un assist e fa un gol su punizione. La Fiorentina vince 3-2 e un certo Claudio Ranieri (quell’anno allenatore viola) si avvicina al ragazzino: ‘Aò, te non stai più con la Primavera. D'ora in avanti stai con noi’. Inizia così la carriera professionistica di Francesco Flachi.

 

 

Se andate da un fiorentino e gli chiedete chi fosse 'il ragazzo che giocava bene' vi rispondono col suo nome. ‘Il ragazzo gioca bene’ era il coro che la Curva Fiesole aveva dedicato a Flachi a inizio anni Novanta, quando cominciava a fare le prime grandi giocate al Franchi e i primi grandi assist per il compagno Batistuta. Giocava talmente bene che nelle giovanili della Nazionale Flachi faceva coppia fissa con Alex Del Piero, che oltre a essere un compagno è stato un suo grande amico d'infanzia: "Con Alex abbiamo fatto tutte le trafile in Nazionale", ha raccontato ai microfoni di grandhotelcalciomercato.com. "Ci condividevo anche la camera nei ritiri, perché oltre a essere una bella coppia gol eravamo molto amici: insieme avevamo fatto anche l'anno di leva militare. Abbiamo condiviso tanti anni della nostra infanzia, poi me lo sono trovato molte volte contro. Era una bella squadra quell’Under 18 della Nazionale: c’erano Locatelli, Mirko Conte, Morfeo, Tacchinardi, poi arrivò anche Totti che era più piccolo di un anno. L’allenatore era Vatta. Fu un’esperienza bella perché lì iniziai ad annusare il vero calcio".

"Il Napoli mi voleva in tutti i modi, ma al telefono rispose mia madre..."

 

 

Il primo vero calcio l'ha vissuto con la maglia viola. Quella sognata da sempre che lo spinse a dire 'no' alla chiamata di un club che all’epoca era pressoché irrifiutabile: "Andai nel settore giovanile della Fiorentina a 12 anni, ma ero stato a un passo dal Napoli. Andai là per fare un provino e passai tre giorni al centro sportivo Paradiso dove c'era anche la squadra del grande Maradona. Mi volevano prendere in tutti i modi, Moggi mi regalò anche la maglia di Diego. Al mio club, l’Isolotto, erano disposti a dare anche una cifra importante. Insomma, le cose si stavano facendo serie, ma quando ci chiamarono al telefono rispose mia madre: lei aveva piacere del fatto che stessi riuscendo a realizzare il mio sogno, ma insieme a mio padre, da genitori, avrebbero voluto tenermi ancora un po' con loro. Fu così che Furio Valcareggi (il suo futuro agente, nonché figlio di Ferruccio, il portiere della Nazionale negli anni Quaranta e ct degli Azzurri campioni d'Europa nel '68, ndr), che conosceva bene mio padre, mi dette una mano per farmi prendere dalla Fiorentina, che per me era la scelta migliore perché ero tifoso. La Fiorentina non arrivò alla cifra del Napoli, ma organizzarono un’amichevole il cui devoluto sarebbe spettato all’Isolotto che così ricevette una grande mano dal mio trasferimento". 

Gli anni in viola

In prima squadra viola Flachi è stato dal 1993 al 1999. Tra l’esordio e qualche giro in prestito (Bari e Ancona) sono arrivate le sue prime soddisfazioni: "Sono l’unico ad aver vinto la Coppa Italia Primavera e la Coppa Italia professionisti nel giro di un mese (era la stagione 1995/96, ndr)", anche se con la Fiorentina Flachi non riuscirà mai a imporsi veramente: “Ogni anno la squadra cresceva sempre di più. L’anno di Trapattoni (1998/99, ndr) credo che la Viola abbia perso la grande occasione di vincere lo Scudetto. Quell’anno eravamo forti (campioni d'inverno a gennaio, 3° a fine campionato, ndr)". Ma Flachi non giocò mai. Ci ha spiegato il perché: "Venivo da un prestito all’Ancona di sei mesi in cui avevo fatto bene. In Serie B feci 10 gol in 17 partite. Nell’estate del 1998 pensavo che la mia occasione con la maglia viola sarebbe finalmente arrivata. Ero in scadenza di contratto, ma Trapattoni mi disse che a lui non interessava, e che se avessi continuato ad allenarmi bene mi avrebbe dato spazio. Ero felicissimo. Dopo una tournée in Spagna però il Trap mi chiamò e mi disse che per potermi convocare avrei dovuto prima firmare il rinnovo. Parlai subito con la società. Mi offrirono il rinnovo di tre anni, ma poi volevano mandarmi in comproprietà al Perugia. Dissi: ‘Ma come? Ancora in giro mi mandate?’. La presi male: mi sentii scaricato. Volevo rimanere in tutti i modi a Firenze, ma avevo sempre le valigie in mano. Rifiutai e rimasi un anno fermo arrivando al termine del contratto". 

La storia d’amore con la Samp: “Rifiutai anche il Monaco di Deschamps”

 

 

Così iniziò l’avventura alla Sampdoria: "Il primo anno andò così e così. Avevo sempre la reputazione di quello che aveva le doti ma non aveva la continuità. Poi con Cagni cambiò tutto. Da quando arrivò lui iniziò la grande storia con la Samp". Una vera storia d’amore, senza tradimenti: "Per la Samp e i sampdoriani rifiutai anche il Monaco. Mi chiamò Deschamps e venne anche a vedermi. Loro di lì a poco sarebbero arrivati in finale di Champions League, noi ancora eravamo in B ma io non me la sentivo nonostante mi offrissero più del doppio: uno come me a Montecarlo che ci faceva? Sì ok, bel posto, tanti soldi, vita da sborone, ma io non sono così. Ho sempre avuto bisogno di piazze calde. A Genova avevo trovato la mia dimensione: scelsi di rimanere anche per rispetto di chi aveva finalmente creduto tanto in me, il presidente Mantovani e il ds Arnuzzo, e non me ne sono mai pentito".

“Bati arrivò ranocchio e divenne principe, ma Edmundo…”

 

 

Fare un tuffo nel passato della carriera di Flachi significa buttarsi in un mare di giocate di classe (spesso in rovesciata) e campioni. Del Piero, Batistuta, Rui Costa, solo per citarne alcuni. Anche se quello che lo ha impressionato più di tutti è stato un altro: "Edmundo". E si ferma a pensare. Nella sua testa attiva i ricordi: "Era devastante. Faceva delle cose incredibili. Ho visto tanti difensori scivolare a fondo campo per provare a fermarlo e andare a sbattere contro le sbarre dei campini. Non lo prendevi: nessuno, per talento e giocate, mi ha impressionato come lui. A livello professionale, invece, il più forte di tutti è stato Batistuta: l’animale era lui, perché tecnicamente all’inizio non era forte come tanti altri, ma è riuscito a diventare quello che è stato grazie alla sua mentalità. Credo non abbia saltato più di dieci allenamenti nei sei anni in cui sono stato con lui. È stato un esempio. Arrivò ranocchio e divenne principe". 

La carriera di Flachi avrebbe potuto raggiungere traguardi ancora più importanti, se non fosse stato per quell'intoppo del 2007. Sul più bello, quando sembrava pronta la sua prima chiamata in Nazionale maggiore, alcune voci su un suo presunto coinvolgimento in un giro di scommesse, da lui sempre smentito, gli hanno condizionato gli ultimi anni da giocatore. Fu l'inizio di un periodo difficile che portò Flachi a commettere errori pagati poi a caro prezzo: per la positività a sostanze illecite, il mondo del calcio gli ha chiuso le porte per un bel po' di tempo (la squalifica finirà il prossimo 12 gennaio). Lui aveva provato ad aprire quelle della ristorazione in un locale, nella sua Firenze, che ha gestito per qualche anno: "Mi sono divertito ma ho lasciato perdere presto. Dico la verità: è stato un modo per distrarmi. In quel periodo nervoso e provavo rigetto per il mondo del calcio, ma per colpa mia e di nessun altro, ci tengo a dirlo. È stata sicuramente una bella esperienza, ma alla lunga avevo capito che non avrebbe fatto per me".

Ancora in campo

 

 

Il richiamo del calcio è stato troppo forte: "Adesso collaboro con gli allenatori delle giovanili del Signa (club dell'omonimo comune a una ventina di chilometri da Firenze, ndr). Sono convinto di poter dare tanto ai giovani di oggi con la mia esperienza. Io ho avuto la fortuna di avere un padre che calcisticamente mi ha formato perfettamente: il primo complimento credo me l’abbia fatto nel 2004. Oggi molto spesso si pensa di avere un baby-fenomeno in casa e lo si monta e lo si esalta subito, col rischio di far diventare i ragazzi degli esaltati presuntuosi. Queste cose non fanno bene e anzi, sono pericolose: il calcio è una piramide e va scalata piano piano. Quando arrivi in cima subito poi è la volta che caschi tutto insieme. Noi ex calciatori possiamo insegnare a questi ragazzi a tenere la testa bassa, a lavorare e imparare anche un senso di appartenenza e di riconoscenza verso chi ci ha fatto crescere. È quello che insegno anche a mio figlio (che oggi è nel settore giovanile della Fiorentina, ndr). Quando vedo questi ragazzini sistemarsi il capellino o mettersi le scarpettine mi innervosisco. Alcuni hanno già gli sponsor… A volte sono stato anche duro con loro, però un po’ sbagliavo: bisogna trovare la via di mezzo tra il capire che i tempi siano cambiati, e quindi accettare i nuovi modi di vivere il calcio, e il continuare a insegnare educazione, umiltà e spirito di lavoro. Poi ovviamente c’è il lato tecnico: vedere i ragazzini fare quello che gli spieghi è una grande soddisfazione. Per questo amo quello che faccio”.

Ma oltre ad aiutare gli allenatori e i giovani, Flachi vuole essere ancora protagonista. La sua squalifica è finita, e dopo 12 anni è tornato in campo. Un ritorno programmato: "I miei compagni li avevo già avvisati: ‘Non datemi la palla lunga perché faccio fatica: ho 47 anni e potreste essere i miei figli. Ma quando ho il pallone, voi dovete partire. Ve la metto sui piedi". Era già carico: "Ma giocherò poco eh, dieci/quindici minuti. Non ho più i ritmi di prima".  E così è stato. Ma tanto a uno come Flachi basta poco per fare la differenza. Se lo ricordano bene i suoi tifosi. Se lo ricordano bene persino a Portsmouth. 

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