Quando risponde, si sentono le cicale in sottofondo. “Sono qui a Lecce, in giardino”. È il suono dell’estate, una musica tutta particolare, ma inconfondibile. “Se parliamo di musica, non ne usciamo più”, dice Luigi Garzya al telefono. È stato un difensore di quelli che, si diceva una volta, mordevano le caviglie. “Ma se proprio devo dirla tutta, il sogno della mia vita è stato quello di diventare un cantante, di vivere il palco”.
La collezione di cd e il calcio
In casa, ha una collezione di quasi cinquemila e cinquecento dischi. “Tutti originali”, tiene a sottolineare. “È sempre stata la mia passione. Ringrazio Dio per la mia carriera da giocatore, che mi ha dato tantissimo, ma senza musica non riesco a stare”.
Ha cominciato a giocare nell’85 a Lecce con Fascetti. Poi è andato alla Roma, quindi alla Cremonese e al Bari (di nuovo con Fascetti), per poi passare al Torino e chiudere, dopo un un anno a Grosseto, nel Taranto. “Ora sono allenatore, ho lavorato con Evani nelle selezioni Under della Nazionale e mi piacerebbe continuare con i giovani”.
Ha allenato giusto Barella e Pessina (i retroscena), tra gli altri. “Come li vedete oggi, erano allora. Non è solo una questione di qualità, ma di atteggiamento: volevano sempre essere più forti, superare il loro limite. Sono felice di vederli dove sono arrivati”.
La carriera di Garzya
La panchina lo aspetta, l’obiettivo è trovarne una presto. Ma prima dell’allenatore, c’è il calciatore. E la sua carriera è stata bella movimentata, prendendo anche delle decisioni non semplici. “Nel ‘96, dopo due anni alla Cremonese, mi voleva l’Atalanta di Mondonico. Era una squadra forte, mi sarebbe piaciuto. Ma poi mi chiamò Fascetti: con lui avevo una sorta di debito d’onore, perché mi aveva fatto esordire quando ero un ragazzino. Insisteva, per lui sarei stato il perno della difesa nel Bari. E anche se in B, accettai”.
A fine stagione, l’Atalanta sarebbe arrivata decima; il Bari avrebbe festeggiato la promozione, con Garzya protagonista. “Sapevo bene a cosa sarei andato incontro: ex leccese al Bari. Non è come adesso, con un Calhanoglu che dal Milan passa all’Inter quasi come niente fosse. Lì ero tra l’incudine e il martello. Ma mi sono fatto apprezzare: i tifosi videro il professionista prima di tutto. Ho sempre cercato di comportarmi da tale”.
A Bari quattro anni, con un epilogo non felicissimo. “Misero me e qualche altro mio compagno fuori squadra”. Qualche problema proprio con Fascetti, e la risoluzione del contratto nel 2000, con il passaggio al Torino. Fu un altro caso di mercato. Qualche mese prima, durante una partita contro i granata, Garzya fu protagonista di una rissa (“Mio malgrado”, sottolinea) con un avversario: il senegalese Diawara. Maglia sporca di sangue, lite nello spogliatoio. “Ci siamo trovati compagni e abbiamo chiarito. Anche perché non ero stato io a fargli il fallo che lo fece sanguinare. A Torino si rivelò un ragazzo d’oro”, spiega.
Garzya e la Roma
Ma l’episodio di mercato è un altro. “Il mio passaggio alla Roma. Ero tornato dal militare ed ero a Roma. Andai a vedere una partita all’Olimpico, e dissi che prima o poi lì avrei dovuto giocare. Quando mi chiamarono, fu l’unica volta per cui non ci fu trattativa: dissi di accettare a qualsiasi condizione, di firmare in bianco”.
Non è come trovarsi su un palco, forse. Ma l’Olimpico è l’Olimpico. “E poi a Roma ebbi la fortuna di entrare davvero a contatto con la musica che mi piace: quella dei locali, dei concerti dal vivo anche nei posti più inaspettati. Tiziana Tosca, per esempio, è una mia carissima amica. Un giorno mi disse che avrei dovuto sentire una ragazza cantare. Andai, aveva una voce pazzesca. Era Giorgia”.
Associare una canzone a Roma? “Difficilissimo. Dico Cinque giorni di Zarrillo. Michele è una persona a cui sono davvero molto legato, quella canzone l’ho vista nascere, nota dopo nota”. Altri abbinamenti? “A Lecce dico mi viene in mente Totò del pugliese Franco Simone, un altro mio grande amico, pure lui leccese. È una delle più belle canzoni d’amore mai scritte. Ma in realtà cito anche la versione di Meraviglioso dei Negramaro: Giuliano Sangiorgi ha una voce strepitosa, e io sono cresciuto sentendo Modugno. Pensando a Bari, La leva calcistica di De Gregori, perché per esordire lì non bisognava avere paura”. Ancora una? “Torino, di Venditti. Aveva ragione: è una città che veniva quasi snobbata ma invece è piena di sorprese. Da avversario la vedevo in un modo, viverci è tutta un’altra cosa. Ho camminato per kilometri sotto i portici, mi ricordo tutto ancora adesso”.
La ruvidezza del campo lascia il posto a tutto questo. Pensieri e parole, direbbe Battisti. “Cantare? No, impossibile. Non è la mia strada”, dice ridendo. Si limita a sentire la musica, viaggiando tra le note. “Spesso la sera scendo in tavernetta e guardo i miei cd. Ognuno ha una sua storia”, continua. Lo farebbe per ore. È felice così.