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Redazione

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Il look, la gallina e le rivolte dei tifosi: Meroni, il 'Best' del Toro che la Juve provò a prendere con una cifra record
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Oggi, nel 1967, a Torino moriva una speranza. Portava la "7" sulle spalle e stava facendo tornare grande il Toro dopo la tragedia di Superga. Si chiamava Luigi Meroni, esterno veloce, imprevedibile, forte: fu investito da un auto (guidata da un certo Attilio Romero che, scherzi del destino, diventerà presidente del Torino molti anni più tardi), mentre attraversava Corso Re Umberto. Morì un ragazzo di ventiquattro anni con cui il popolo granata era tornato a sognare: "Dio scelse il migliore, ma ci portò via l'anima, il più forte, il calciatore che ci avrebbe fatto diventare grandi", disse Aldo Agroppi, suo ex compagno di squadra, in un'intervista rilasciata anni fa a Sky Sport. Era talmente forte e ambito, che quando veniva trasferito (o quando sembrava in procinto di farlo) scoppiavano caos e disordini. Una volta, leggenda narra, ci fu anche un morto.

 

La furia di Santos schiantata contro un albero

'Gigi' Meroni è cresciuto nel Como, ma è col Genoa che si è fatto conoscere. 7 gol in 2 stagioni e 42 presenze erano un bottino niente male per un ragazzo di 21 anni, che comunque oltre alle statistiche era di fatto sempre un uomo in più per le sue sgroppate sulla fascia e le sue finte. Fu così che il Torino decise di acquistarlo per 300 milioni di lire, una cifra record, all'epoca, per un ragazzo della sua età. Il Genoa era allenato da Benjamin Santos (ex calciatore del Toro, peraltro), che alla notizia della cessione di Meroni perse il controllo. Prima di sé stesso e poi della sua macchina: di ritorno (improvvisato) dalle vacanze in Spagna, la vettura dell'allenatore argentino si schiantò contro un albero e morì. Leggenda vuole che la causa della sua cattiva guida fosse per la sua arrabbiatura dopo la cessione di Meroni al Toro. 

Meroni, l'anticonformista

Da qui comincia la vera grande storia di 'Gigi'. Con la maglia del Torino si consacrò come uno dei talenti più promettenti del panorama italiano. Imprevedibile, ribelle, anticonformista: viveva in una mansarda, girava con una gallina al guinzaglio, aveva un teschio porta fortuna in camera e guidava una Balilla vecchia dal design particolare e i tappetini di color granata, un pezzo unico che è ancora in esibizione al Museo del Grande Torino. Era originale anche nel look: capelli lunghi e vestiti singolari, richiesti e disegnati da lui stesso, come pantaloni a zampa, giacche quadrettate e cappelli di vario tipo. Quando il ct della nazionale, Edoardo Fabbri (che avrebbe poi ritrovato anche al Torino) gli disse "O cambi taglio e vestiti, o in Nazionale non vieni", Meroni inizialmente rifiutò. Poi fece uno strappo alla (sua) regola per far parte dei mondiali in Inghilterra del '66, in cui però Fabbri gli concesse solo lo spazio di una partita, contro l'Unione Sovietica. Per la cronaca: l'Italia fu eliminata a causa di una sconfitta contro la Corea del Nord, per una delle più grandi disfatte della nazionale azzurra (ma Meroni non entrò mai in campo).

 

 

L'offerta irrifiutabile della Juventus e le rivolte in piazza

Ma torniamo al mercato e alle 'rivolte'. Estate 1967. I dirigenti della Juventus vogliono Meroni. Per acquistarlo, presentano un'offerta irrifiutabile: 500 milioni di lire subito e 50 milioni ogni anno per cinque anni, per un totale di 750 milioni. Sarebbe stata una cifra da record assoluto. Sarebbe. Perché i tifosi del Toro appena sentono le voci di un suo possibile passaggio in bianconero scendono in piazza. "Meroni non si muove". Meroni non si muoverà. "Per noi l'affare era importante, sfido chiunque a dire di no", commenterà poi Pianelli, l'allora presidente granata che di fronte alla piazza insorta aveva deciso di resistere, portandosi dietro, anni dopo, qualche piccolo rimpianto: "Dopo quel terribile incidente in Corso Re Umberto spesso pensavo al fatto che se l'avessi ceduto alla Juventus, quella domenica sarebbe stato in trasferta. Quel corso non l'avrebbe mai attraversato. Sarebbe ancora vivo". Il destino aveva deciso così. 

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