Lorenzo Paramatti dopo tre stagioni al FCU Craiova 1984 in SuperLiga Romena firma con il Maccabi Petah Tikva ,club della massima serie israeliana. Trasferimento portato a termine dalla FisherSport di Alessandro Pezzoli e Fabio Dall’Ara. Vi riproponiamo un'intervista fatta al difensore figlio d'arte sulla sua decisione di emigrare
Quando Lorenzo risponde al telefono, si premura di chiedere se l’audio è buono: “Scusa, sono appena tornato in Romania, c’è confusione, spero tu mi senta bene”. Il cognome è Paramatti, figlio di Michele, e la professione è quella del papà, difensore: “Ma a differenza sua io gioco al centro, papà andava a tutta fascia”.
Paramatti gioca nel FCU Craiova dal 2020 e in Romania si è realizzato, vincendo il campionato di Serie B nel 2021 (insieme ad Andrea Compagno, “con cui ho un ottimo rapporto, siamo amici”) e ora l’ambizione è quella di consolidarsi a livello nazionale: “Ma vogliamo anche giocarci le coppe, la Conference e l’Europa League”. Ora c’è una stagione da portare a termine nel migliore dei modi, dal campionato alla coppa nazionale (ora l’FCU Craiova si deve giocare i quarti di finale): “Sono tornato a casa mia in Romagna, vicino a Rimini, per ricaricarmi durante questa pausa nazionale. Non c’è niente di meglio di passare il tempo con la mia ragazza e i miei amici, magari con un bel pranzo al mare, per staccare la spina e ricominciare”.
Lasciare la comfort zone per aprirsi nuove porte: il viaggio in Romania
Il calcio in Romania è in evoluzione, ma guai a parlare di nicchia: “Qui le piazze sono caldissime, paragonabili a quelle del sud Italia – spiega Paramatti -. Il livello della Serie A rumena non è paragonabile alla nostra a livello tecnico, sarei ipocrita nel dirlo, ma merita più considerazione. Qui la gente vive per il calcio, ti riconosce, ti ferma per strada e ti chiede un autografo o un selfie. È un massimo livello ed è seguito come i massimi livelli. Ci sono giocatori che vestono la maglia della Nazionale e hanno una grande esperienza in campo internazionale”.
Il difensore ha avuto una prima esperienza nel Paese nell’ACS Poli Timisoara nel 2019, prima di tornare a casa sua a Rimini: “Fu una grande sfortuna. Avevo l’opzione di rinnovo automatico del contratto in caso di salvezza. Eravamo a pari punti con il Fano, poi il campionato fu interrotto per il Covid e fummo retrocessi noi. Era tutto livellato: gol segnati e subiti, abbiamo pagato il minor numero di vittorie”, ripensa con amarezza.
Paramatti in Italia ha giocato in Serie C, da Siena a Santarcangelo passando per Messina, quando girava il Paese in prestito dal Bologna dove ha concluso il suo settore giovanile. Poi la Pro Piacenza, a ‘sandwich’ tra le esperienze a Gubbio: “Quella invece fu bruttissima. Infatti ho rescisso in inverno perché mi ero trovato malissimo e a quel punto grazie ai miei procuratori Alessandro Pezzoli e Fabio Dall’Ara abbiamo vagliato nuove avventure. Loro operavano già nel mercato rumeno e ho voluto provare quest’esperienza. È stata fantastica. Sono diventato subito capitano e ho avuto modo di imparare un’altra cultura, un’altra lingua”.
Lo definisce un investimento sulla propria persona. Perché Lorenzo ha lasciato la sua comfort zone per “aprirmi tante porte”, ed è stato così: “Ho avuto l’opportunità di giocare all’Arena Nazionale, vincere derby davanti a 25mila persone e battere squadre blasonate come il Cluj. Se hai dei sogni e delle aspettative devi dare il massimo per raggiungerli. Devi saperti adattare a livello culturale, di lingua e anche di alimentazione che è diversa. Ci sono momenti difficili perché sei solo, in un paese lontano, ma devi trovare la forza di andare avanti. Ora capisco e parlo il rumeno, siamo una squadra multietnica: ora conosco quattro lingue”. Ma guai a poter pensare che sia più facile: “Qui non ti regala niente nessuno, te lo devi guadagnare”.
Per il futuro nulla è scritto: “Tornare in Italia? Il desiderio c’è sempre. Italia è casa, ovunque sei ti senti a casa. Ne deve valere la pena, però. Qui mi sono cerato uno status. Tornare indietro significherebbe trovare realtà che crede in te e ci sia progetto serio. In Serie C ci sono tante realtà anche professioniste che però hanno figure di dilettanti. Poi passare da un campionato di massima serie qui a una Serie C, magari, potrebbe essere un rischio anche a livello economico.
Il rapporto con papà Michele
Crescere con un papà giocatore di Serie A è sicuramente una spinta per cullare un sogno, quello di diventare calciatore. Michele Paramatti vanta 160 presenze in Serie A, uno scudetto vinto con la Juventus e un Intertoto con il Bologna: “Ma lui non mi ha mai messo pressione. Mi ha sempre dato la libertà di scegliere ciò che volevo fare. Sono cresciuto a Russi (comune in provincia di Ravenna, ndr) a pane e calcio. Tutti sapevano chi era mio papà e lui mi ha dato la forza e la voglia di provare ad emularlo. Ho un bellissimo rapporto con lui”.
Dal campo alla vita quotidiana: “È stato il mio primo maestro. Dopo le partite ho avuto tanti confronti con lui. Non ha mai ‘imposto’ la sua esperienza o il suo essere genitore, mi spiegava sempre come e dove dovevo migliorare. E non potevo far altro che credergli, insomma, ha giocato con giocatori del calibro di Baggio, Signori e e Zidane, può sicuramente dirmi qualcosa!”, scherza Michele.
Essere il figlio di può essere sinonimo di raccomandazione, ma non in questa storia: “In Romania hanno scoperto dopo tempo che sono figlio di Michele. Esserlo non mi ha mai aiutato a chiudere un contratto, anzi, il contrario. Qualcuno pur di non rovinare il rapporto che ha con lui preferiva non cominciare nemmeno l’esperienza, perché magari poi si sentivano costretti a farmi giocare o non volevano che ci potesse essere qualche problema con papà e mi siluravano con un ‘meglio evitare’”.
Papà Michele che non gli ha nemmeno mai fatto da procuratore: “Non gliel’ho mai chiesto a dire la verità, ma lui non si è mai nemmeno proposto. Lui è lui e io sono io. Non si è mai permesso di mettere bocca sulla mia carriera, anzi ‘ti do consigli e ti insegno ma poi ti gestisci tu’ mi ha sempre detto. Poi voleva defilarsi dal mondo del calcio e non rientrarci più”.
Il settore giovanile e l’infanzia tra campioni
Immagina avere cinque anni e stare a bordo campo mentre la Juventus si allena e alla fine essere preso in braccio da Del Piero e Inzaghi oppure avere Igor Tudor che ti fa da babysitter: “Questa storia fa molto ridere – ricorda Paramatti. – Tudor adorava farmi i dispetti: mi disegnava i baffi con il pennarello indelebile e quando mi guardavo allo specchio iniziavo a piangere. Un giorno Del Piero mi regalò la sua maglietta e non la trovavo più per poi scoprire che era nell’armadietto di Igor. Piangevo per i suoi scherzi ma mi voleva bene e poi prendeva in braccio”. Poi anche la dolcezza di Inzaghi: “Pippo aveva tantissime fan che gli portavano dei doni al campo. Un giorno aveva ricevuto un’ape di peluche gigante che conteneva cioccolatini e me la regalò dopo un allenamento”.
Non solo alla Juve, ma anche a Bologna, perché “papà ci ha sempre fatto volere bene”. “Una sera Kennet Andersson venne a stare da noi e dormì in camera con me nel letto vicino. Un gigante! Il giorno dopo mi accompagnò all’asilo. Che esperienza”.
Poi gli scherzi anche da ragazzino: “Quando giocavo nel settore giovanile dell’Inter, prima da sotto età negli allievi nazionali, poi ho fatto due anni di primavera e mi allenavo con la prima squadra. Lì giocava Castellazzi che un giorno si rese conto di un fatto divertente: ‘cioè, io ho giocato con tuo papà e ora mi alleno con te?! O voi giovani crescete troppo in fretta o io sono vecchio’, mi ha schiantato dal ridere”.
Ma non solo lui, anche compagni con forza e passione del calibro di Zanetti e Cambiasso che si fermavano a dare consigli ai ragazzi, gli allenamenti con Milito e Sneijder e le battute con Mudingayi, Juan Jesus - con cui Lorenzo si sente ancora oggi – e Cassano: “Mi ruppì il naso e giocavo con la maschera, Antonio mi vedeva e urlava ‘Zorro! Zorro!’, un gruppo fantastico che non escludeva i ragazzi, anzi: li faceva sentire parte della squadra. Mi hanno insegnato tanti valori sia dentro che fuori dal campo. Indimenticabile”.
Dopo l’Inter il ritorno a Bologna per l’ultimo anno di Primavera ma con un occhio già rivolto verso la prima esperienza con i grandi: “Lì purtroppo la mia carriera subì subito il rallentamento forse decisivo. Mi ruppi il ginocchio e non fui in grado di dare il mio apporto alla cavalcata della squadra dalla Serie B alla A. Non aver contribuito sul campo alla vittoria del campionato è l’unico rammarico che ho. Poi in Italia non mi aspettarono più. Perché quando sei giovane giri in prestito in Serie C, poi sono salito con l’età e sono uscito dalla categoria under che deve avere un certo minutaggio in Lega Pro e nessuno mi ha più chiamato. Ecco cosa significa uscire dalla comfort zone, rischiare e andarsi ad aprire delle porte. Sono partito e sono arrivato in Romania, un sogno realizzato”.