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La bandana, il Toro e la Serie A. Pinga: "Aprirò una scuola calcio in Brasile"
Dalla doppietta al Milan alla bandana: "In futuro voglio diventare un talent scout". Aneddoti e racconti dell'attaccante brasiliano
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Metonimia: scrivere un dettaglio per rimandare a un elemento completo. Una doppietta e una bandana. Il tifoso del Torino l’ha già capito, l’appassionato di calcio pure: André Pinga non è stato una meteora, ma ha vissuto un calcio diverso in Italia, e da promessa non è diventato realtà. Non ha fatto in tempo. “Io l’intervista la faccio perché ci tengo davvero” premette, “ma sappi che parlo poco. Non mi piace, non fa per me”.

La doppietta al Milan e il sogno che comincia

L’esordio in esclusiva ai microfoni di Grandhotelcalciomercato.com è questo: sembra timido, quando in campo era invece piuttosto esuberante. Numero 10 sulla maglia, brasiliano: ha vissuto il calcio anni 2000 con la maglia di Torino, Siena e Treviso prima di trasferirsi altrove. I tifosi granata lo ricordano bene: aveva segnato per la prima volta in Serie A contro il Milan, una doppietta ai rossoneri di Zaccheroni. 16 aprile 2000. “Ma questo chi è?” si erano chiesti in tanti: Mondonico, allenatore di quel Toro che sarebbe poi retrocesso, aveva la risposta pronta. “Un fenomeno, potrà fare le fortune di questa società”. Per questo lo soprannominavano Pinga: dribbling che ubriacano come una bevanda brasiliana.

 

 

L’anno successivo gioca, torna in Serie A, ma nel gennaio dopo viene prestato al Siena. Quindi, quando il Toro retrocede di nuovo, per due anni diventa il giocatore da cui ripartire, fino ad arrivare al culmine: finale dei playoff contro il Perugia, ottantamila tifosi allo stadio. La squadra allenata da Zaccarelli vince, va in Serie A, ma quell’estate fallisce. Era il 2005. 

"A Torino i momenti più importanti"

Mi ricordo tutto, ma proprio tutto” racconta Pinga. “Perché ha coinciso con i momenti più importanti della mia carriera, belli e brutti. Nel cuore c’era quella doppietta al Milan, sì, ma la gioia di aver vinto quella partita era davvero tutto. La promozione, dopo tanta fatica e con quel pubblico… brividi veri. Il fallimento del club è un dolore che ancora mi porto dietro”. In quella squadra c’erano tanti giovani interessanti: Sorrentino, Balzaretti (quel retroscena su Haland), Quagliarella. E c’era lui, André, che nel frattempo aveva cambiato look mettendosi una bandana in testa per coprire le ferite di un gravissimo incidente d’auto di qualche anno prima, quando a Siena perse la vita anche il fratello di Rodrigo Taddei, suo compagno in bianconero. Di quello, Pinga preferisce non parlare, ma la bandana granata era diventata un po’ il suo segno distintivo.

 

 

Dopo il Torino, aveva firmato con il Treviso, dove aveva ritrovato in panchina Ezio Rossi. Era l’annata storica per i veneti in Serie A: 24 partite e 3 gol non bastarono però a garantire la salvezza. Così decide di tornare in Brasile all’Internacional de Porto Alegre. “Quell’anno successe una cosa strana: mi contattarono gli emissari dell’Al-Whada di Abu Dabi e mi fecero una proposta”. Ne parlarono subito con l’agente, Stefano Cionini (nella foto, uno di famiglia: lo aveva portato in Italia), e provarono a combinare. Fu uno dei primi a tentare un’esperienza nel calcio orientale.

La gigantografia allo stadio

Abbiamo vinto il campionato, sono stato vicecapocannoniere della squadra, è stata una bella esperienza”, così tanto da meritarsi ancora oggi una gigantografia allo stadio. Negli Emirati, la permanenza si è prolungata con le maglie dell’Al-Alhi, quindi Al-Dhafra, per poi tornare di nuovo in Brasile, al Santos. La sua ultima squadra.

 

Adriano e gli altri amici 

Ha smesso a 32 anni, e non ha più parlato. “Perché? Non amo le interviste, te l’ho detto. E non avevo cose particolari da dire. Quindi, perché parlare? Preferisco guardare il calcio, o dedicarmi alla mia famiglia”. Una parte è rimasta in Italia (la cognata è una famosa pasticciera brasiliana: ha negozi a Milano e Torino), l’altra è in Brasile. Amici? “A Torino ero molto legato a Balzaretti. In generale, sento spesso Adriano: quando vivevo a Siena, lui stava a Firenze. Eravamo quasi coinquilini, veniva sempre a casa mia”. In Italia passavano molto tempo insieme. “Cosa voglio fare ora? A me è sempre piaciuto l’idea di essere un talent scout. A Fortaleza ho il progetto di aprire una scuola calcio, ma vorrei lavorare per qualche club”.

 

 

Il futuro

Il Torino? “Magari, sarebbe un sogno. Anche perché il Toro mi è stato portato via troppo presto. Avrei voluto stare di più, giocare la Serie A da protagonista con loro. E fino all’ultimo ho sperato di chiudere la carriera in Italia proprio lì”. Dopo tanti anni, Pinga è tornato in Italia, e per l’amichevole della squadra di Juric contro il Nizza, sugli spalti c’era anche lui. “È stato emozionante”, dice. Poche parole, sempre. “Mi tengo i ricordi più belli”, con la speranza di poter tornare a fare calcio. Con occhi diversi, col talento di sempre. 

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