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Niccolò
Severini

"Sognavo la 10 di Rivera. Ero quasi dell'Inter, poi Lazio e Napoli. Ma la mia vita resta Livorno". La nostra intervista a Igor Protti
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Protti e Livorno è un binomio quasi indissolubile. Una storia d’amore nata e rinata, che si è consolidata nel tempo fino a diventare l’uno parte dell’altra. Oggi Igor Protti è il direttore generale della società amaranto che milita in Serie D. Insieme a Dario Hubner è l’unico giocatore ad aver vinto la classifica cannonieri nei tre maggiori campionati italiani. Dalla Serie A alla C: tutte conquistate a suon di gol.

Non c’è un segreto per segnare ovunque. Serve la predisposizione al lavoro e al sacrifico. Anzi no, mi permetto, i veri sacrifici sono altri qui parliamo solo di passione perché ho sempre fatto quello che amavo”. Una storia che nasce sul mare, quella di Protti, ma dall’altro lato, sull’Adriatico e sempre al mare è legata quasi tutta la sua carriera. L’attaccante lasciò Rimini, dove è nato il 24 settembre 1967, proprio per Livorno.

Dove si è fatto conoscere al grande calcio, ma anche se non ci sono segreti se non il lavoro, uno lo ha rivelato a grandhotelcalciomercato.com: “A inizio carriera giocavo da centrocampista, poi crescendo mi sono spostato sempre più avanti. Prima trequartista, fino ad arrivare al centro dell’attacco. Ho lavorato tanto sul mio fisico, cercando di irrobustire la parte superiore del mio corpo, altrimenti i difensori mi avrebbero mangiato”. 

Il giro d'Italia a suon di gol

Segnare sempre e ovunque. A prescindere dalla categoria in fondo “la porta è sempre la stessa sia in Serie A che in Serie C”, scherza (ma nemmeno troppo). Ma le differenze ci sono: “Più sali di livello più i difensori sono forti, è vero, ma anche i tuoi compagni sono più forti e sanno metterti in porta con i tempi e la modalità giusti”.

Protti detiene anche un altro record, curioso: è l’unico giocatore in grado di vincere la classifica cannonieri retrocedendo con la sua squadra (il Bari nel 1995/96). “Questo purtroppo non lo condivido con nessuno (ride, ndr) – scherza Protti -. Eravamo molto bravi ad attaccare ma meno nel difenderci. Poi era una Serie A diversa quella degli anni Novanta. A maggio, ogni anno, una delle nostre squadre si giocava una finale europea. Era un campionato ad altissimo livello, con diciotto squadre e quattro retrocessioni. Oggi con gli stessi punti ci si salverebbe”.

Un annata finita male ma che Protti porta nel cuore, non solo per i suoi 24 gol: “Ricordo l’ultima partita al San Nicola. Uscimmo tra gli applausi contro la Juventus, con cui avevamo pareggiato due volte quell’anno. Avevamo battuto l’Inter 4-1 e anche il Milan 1-0. Ma purtroppo non bastò”. Il Milan nella sua vita sarebbe potuto diventare centrale. Perché Protti diventò rossonero, anche se per poco. 

Gli inizi al Milan, poi Lazio e Napoli

Nel 1985 l’attaccante fu comprato dai rossoneri, dell’allora presidente Giuseppe Farina. Ma al momento di scegliere tra la Primavera in Lombardia e l’opportunità di una prima squadra, Protti non esitò nemmeno un momento: “Scelsi subito Livorno. Ci fu la possibilità di andare in prestito e non la volli sprecare. Non conoscevo la città ma mi ambientai subito e fu un ottimo campionato di Serie C1. Eravamo in tanti in prestito dal Milan quell’anno e dopo tutti i problemi che Farina ebbe, decidemmo di rimanere in Toscana”.

Una scelta che gli cambiò la vita fin da subito: “L’impatto con la gente fu qualcosa di indescrivibile. Sentivi proprio il loro amore. Ma anche la loro fame perché alla piazza mancava la Serie B da 15 anni. Immaginate poi vedere i rivali di sempre del Pisa in Serie A quanto poteva accrescere questa voglia”. Ma la prima parte della storia di Protti con Livorno durò solo tre anni. Nel mezzo la grande occasione della Lazio (con cui vinse anche una Supercoppa Italiana) e il Napoli.  

“Con la Lazio fu tutto molto veloce – confessa Protti -. Ero promesso sposo dell’Inter e dovevano cedere Zamorano per depositare contratto. Ma non riuscirono a venderlo e quindi saltò. Venne fuori la Lazio e chiudemmo l’accordo in breve tempo”. Ma per l’attaccante non fu subito facile: “L’impatto iniziale non fu felicissimo per risultati e gol fatti, ma i ragazzi erano eccezionali e l’ambiente caldissimo”. Poi  le cose migliorarono: “Con Dino Zoff nella seconda parte siamo riusciti ad esprimerci. E la Supercoppa del 1999 è stata una grande soddisfazione”.

Quindi il Napoli: “Un impatto bello per un uomo di mare come me. Mi si è aperto il cuore. Purtroppo, però fu un momento di discesa: un campionato non felice ne per me ne per squadra”. Ma l’impegno, assicura Protti, non è mai mancato: “Per me mettere la maglia di una squadra era tutto. Mi legavo a quei colori. Sia nelle piazze in cui ho giocato di più , sia dove ho giocato meno. Ho legami e ricordi, ma anche a Napoli ci torno sempre molto volentieri”. 

 

La nuova missione: la rinascita del Livorno

Tante città nella carriera di Protti, ma solo una è stata ed è quella del suo cuore: Livorno. Tanto che la città, tramite un sondaggio, scelse di ritirare la maglia numero 10: “Fu una soddisfazione. La sentivo mia e la sento ancora mia e non poteva esserci regalo più grande”. Una scelta che era piaciuta a Protti, almeno inizialmente:  “Passavano gli anni e guardavo partite di mio figlio contro squadre di Livorno e guardandoli mi è venuto in mente quando ero piccolo e il mio sogno era di mettere la 10 del Milan di Rivera (tifava per i rossoneri da piccolo, ndr). Se i bambini sognano la maglia 10 del Livorno non posso negargliela”. 

Protti ha conseguito il patentino da allenatore ma non ha mai optato  per un’avventura in panchina: “Non è mai scattata la molla. Ho fatto corsi perché nella vita bisogna sapere più cose possibili e avere più emozioni possibili. Ho preferito carriera da dirigente perché mi piaceva di più anche se devo dire che un pochino di voglia mi sarebbe venuta ma non ritengo sia il caso di cominciare adesso a 54 anni", dice con il sorriso.

E il lavoro da dirigente lo sta facendo con risultati tangibili perché il Livorno ha vinto il girone B dell’Eccellenza toscana e oggi milita in Serie D: “L’inizio è stato abbastanza complicato per mille motivi perché non c’era più niente, nemmeno i fogli in sede”. E poi l’augurio per il futuro: “Una città come Livorno che ha una storia così importante e un bacino di utenza cosi importante merita grandi palcoscenici. Abbiamo 4000 persone allo stadio per una partita di Eccellenza. Non abbiamo la bacchetta magica, ma solo tanto tanto lavoro”.

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