“Se non avessi fatto l’allenatore avrei guidato aerei o avrei fatto l’esploratore”. Una frase che racchiude perfettamente la filosofia di vita di Stefano Cusin. Allenatore in campo, viaggiatore fuori. Una carriera in giro per il mondo, costantemente alla ricerca di sfide e nuovi stimoli, lavorativi e non. Dal Camerun alla Palestina, passando per la Bulgaria. Oggi Stefano è in Sudan del Sud per guidare la nazionale: “Allenare qui è un lavoro a 360 gradi”.
Il primo passo fuori dall’Italia
La carriera da allenatore di Cusin è iniziata nel 1997 ad Arezzo. Cinque anni nelle giovanili e una stagione a Montevarchi. Poi il desiderio di lasciare l’Italia. La prima tappa è il Camerun, come raccontato ai microfoni di grandhotelcalciomercato.com: “A un certo momento, guardando la Coppa d’Africa in televisione, ero curioso di capire perché, nonostante un potenziale individuale interessante, non avessero mai vinto un Mondiale. Io da giocatore ero cresciuto in Francia, avevo tantissimi amici e uno di questi faceva l’agente in Camerun. Lui sapeva che la federazione stesse cercando un allenatore europeo per andare a fare uno stage per le giovanili della nazionale. Invece di fare le vacanze al mare sono andato lì e ho passato un mese. Poi mi hanno chiesto di rimanere per sviluppare il calcio giovanile. È nato tutto un po’ per caso”.
Prima sfida fuori dall’Italia: guidare l’Under 20 del Camerun. Il giro del mondo di Stefano parte da qui. Mai banale e mai scontato nelle sue scelte. Così, dopo appena un anno, si cambia di nuovo. Nel 2007 si vola in Congo, per sedersi un’altra volta su una panchina delle giovanili di una nazionale.
Ma lo step più importante per Cusin c’è stato nel 2009. Perché dopo aver lasciato il Congo ed essere passato in Bulgaria, Stefano sposa il progetto dell’Al-Ittihad, in Libia: “Forse per me è stato lo step più importante della mia carriera. Mi sono confrontato con una realtà incredibile, perché l’Al-Ittihad è come la Juventus in Italia. Ha milioni di tifosi e gioca davanti a 80-90mila spettatori. Ho scoperto una realtà molto importante, sono cresciuto tanto. Avevo l’appoggio del presidente del club, che era il figlio di Gheddafi. È stato più semplice lavorare”.
Un ambiente totalmente diverso in un paese che vive di calcio. Tante pressioni, responsabilità e un ambiente che è rimasto nel cuore di Cusin: “Lì quando c’è il derby devi restare chiuso in albergo per tre giorni…”. L’esperienza in Libia ha rappresentato un momento di crescita importante per Cusin. Lì, le sue qualità sono venute fuori in modo definitivo. E uno dei primi a intravederle fu Walter Zenga.
Il rapporto con Zenga
Facciamo qualche passo indietro e torniamo alla stagione 2008/09. Cusin è in Bulgaria e guida il Botev Plovdiv. Fu proprio durante questa parentesi che incontrò Zenga: “L’ho conosciuto in un’amichevole, lui allenava il Catania e io il Botev Plovdiv. È nato un feeling e mi ha lasciato il numero. Poi quando ho vinto il campionato con l’Al-Ittihad è stato il primo a congratularsi con me. Successivamente, quando ha firmato per l’Al-Nassr, aveva bisogno di un vice con esperienze internazionali e che sapesse relazionarsi col mondo arabo. Lui è molto intuitivo, aveva visto in me qualcosa che io non sapevo di avere, ovvero la capacità di adattarmi a differenti giocatori, campionati e mentalità”.
Così Cusin, dopo l’esperienza con l’Al-Ittihad, diventa il vice allenatore di Zenga: ”I primi giorni lo osservavo molto. Lui veniva dal Palermo, aveva allenato in Serie A ed era stato un grandissimo giocatore. Avevo un po’ di ‘timore’ nei suoi confronti. Lo osservavo per capire come lavorava. Walter, oltre che un amico, posso considerarlo un fratello. Da lui ho imparato il 90% di quello che so del calcio, è una fonte d’ispirazione, uno che si aggiorna sempre. È stato uno step fondamentale per la mia carriera”.
Prima in Arabia Saudita, poi negli Emirati Arabi Uniti. I due lavorano fianco a fianco: “Al tempo in Arabia Saudita c’erano stadi molto belli ma dei centri sportivi un po’ vecchi. Ma so che nel tempo hanno modernizzato. Negli Emirati Arabi Uniti, invece, ci sono strutture di primissimo livello. Ti alleni su campi perfetti, c’è una cura del dettaglio unica”.
L’esperienza in Palestina e il Wolverhampton
Un altro momento significativo nella carriera di Cusin è arrivato nel 2014: Stefano fa tappa in Palestina, all’Ahli Al-Khalil: “Walter aveva preso una stagione di pausa e mi capitò questa occasione. Mi chiamò un agente chiedendomi: ‘Alleneresti in Palestina?’. Io il paese non lo conoscevo, ho preso informazioni e mi era sembrata una situazione un po’ difficile. Poi mi ha chiamato il presidente del club, che è una persona eccezionale e mi ha convinto a provare. Sono sbarcato a gennaio a Hebron in un freddo polare, ma fin dai primi giorni ho avvertito sensazioni positive. Soprattutto le persone sono super accoglienti, se cammini per le strade della città è facile che qualcuno ti fermi e ti porti a casa a bere un tè. Questa squadra non aveva una grandissima storia, abbiamo fatto un lavoro eccezionale e abbiamo vinto tutto in dieci mesi”.
Nel 2016 Cusin si ricongiunge a Zenga. Prossima fermata: Inghilterra. “Cellino aveva chiamato Walter per la panchina del Leeds, ma prima ancora che uscisse il suo nome ci sono state delle contestazioni dei tifosi poiché volevano un allenatore inglese. Poi è stato contattato da Mendes che cercava un allenatore d’esperienza e siamo arrivati al Wolverhampton. Noi siamo arrivati in Inghilterra al momento sbagliato. La società era stata acquisita da un gruppo cinese un mese prima ed era proprio all’inizio. Arrivarono in contemporanea diciotto giocatori dal Portogallo, dalla Francia, dall’Olanda. La difficoltà è stata inserire tutti questi giocatori in un contesto come la Championship. Siamo partiti benissimo, poi abbiamo pagato la poca condizione dei giocatori. È stata un’esperienza bellissima”.
Il presente in Sudan del Sud
Cusin non ha mai avuto limiti. Ha girato il mondo con la costante voglia di mettersi in gioco. In ogni paese, in ogni campionato e in ogni realtà. L’ultima sfida si chiama Sudan del Sud. Allenatore della nazionale ma non solo, l’obiettivo di Stefano è anche quello di promuovere il calcio. “Una volta arrivato ho parlato con il presidente e mi ha fatto un’ottima impressione. Siamo partiti da zero. Per esempio, all’inizio chiesi filmati delle partite passate e non avevano niente. Non avevano i report, le liste dei giocatori che giocavano all’estero. Siamo partiti con il gruppo precedente e poi ho iniziato a cambiare”.
“Allenare qui è un lavoro a 360 gradi: da una parte devi seguire la lega locale, dall’altra devi fare un tour di tanti campionati. Devi seguire quello americano, australiano. Abbiamo vinto il 50% di partite ufficiali della prima squadra, abbiamo fatto il record di vittorie fuori casa e numero di gol segnati. Siamo cresciuti di nove posizioni nel ranking FIFA, tanti giocatori sono passati da campionati come quello in Canada a giocare in Scozia. C’è una crescita e avverto intorno a me grande fiducia. Il presidente mi ha chiesto di seguire da vicino anche le giovanili per condividere le mie idee. Prima giocare contro di noi significava prendere tre punti semplici, adesso si deve sudare”.
Il Sudan del Sud è in piena fase di costruzione, in ambito calcistico ma non solo. Un paese nato da dieci anni che sta attraversando un periodo di crescita importante. Un processo che deve passare anche dallo sport e in particolare dal calcio: “Il Sudan del Sud è due volte più grande dell’Italia, sono undici stati unificati. C’è una carenza di infrastrutture, di organizzazione. È un paese che ha dieci anni di vita ed è in costruzione. Ma c’è la volontà politica di usare lo sport per unificare il paese. La nazionale di basket è diventata campione d’Africa. Il calcio viene seguito da tutti. La federcalcio sta investendo molto, anche nel calcio femminile. C’è un campionato e una nazionale. C’è grande attenzione, stiamo cercando anche di aiutare le accademie, che sono il futuro. Stiamo formando allenatori, sviluppando scuole calcio. Il calcio in Africa è lo sport numero uno”.
Il calcio come mezzo per far crescere un paese intero. Cusin sta vincendo l’ennesima sfida, senza, però, pensare troppo al futuro: ”Io ho ancora un anno di contratto. Loro mi hanno chiesto di prolungare fino al 2025, ma è ancora presto. A marzo avremo un doppio confronto con il Congo, che sarà decisivo per la qualificazione in Coppa d’Africa. Poi vediamo, nella mia carriera non ho mai fatto programmi”.
Il desiderio di nuove sfide, sempre più fantasiose, ma anche il richiamo dell’Italia. Una possibilità, quella di tornare a casa, che si è presentata anche in passato: “Negli ultimi anni ho ricevuto due offerte dall’Italia: una da una squadra di Serie C, ma era a poche giornate dalla fine del campionato. Io avevo chiesto di poter lavorare anche sulla stagione successiva, loro invece volevano fare più un discorso di risultati. Io non mi metto in gioco a tre giornate dalla fine con un gruppo che non conosco e che non ho allenato. Sono stato contattato anche da un grande club per allenare la Primavera. Avevo dato la mia disponibilità ma all’ultimo hanno fatto un’altra scelta. Però siamo stati davvero vicini. Un giorno tornerò in Italia, questo è sicuro. Soprattutto con tutto il bagaglio che ho fatto all’estero. Potrò dare qualcosa di importante, ma non adesso”.
Una carriera tutt’altro che banale. Mai scontato nelle scelte, mai stufo di mettersi alla prova. “Sono molto attratto dalle novità, per capire il mondo e il calcio. Ho una passione per le persone”. E se oggi Cusin prova a guardarsi indietro, può solo che essere soddisfatto del proprio percorso: “Rifarei tutto quello che ho fatto”. Zero rimpianti, Stefano si gode il presente. Senza programmare e senza pensare a ciò che verrà. Si vive giorno dopo giorno.