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Il "Buitre" per Sacchi, Recoba e il cigno di Novellino. Che fine ha fatto Valtolina
valtolina

Nell'album dei ricordi della Serie A anni '90 una delle cartoline indelebili è sicuramente la rovesciata di Fabian Valtolina contro la Roma. Un colpo estemporaneo che è rimasto nella memoria di tanti. Sicuramente del protagonista che ricorda ancora con piacere quel momento: "Mi viene ancora la pelle d’oca quando lo guardo. Lo feci senza pensarci, anzi disturbando e non poco Stroppa che mi chiamò il pallone almeno tre volte. Ma ormai l'idea era quella, non potevo fermarmi". Pareggio nel recupero e 3-3. La corsa senza maglia e l'abbraccio dei compagni. Le immagini si fermano lì, ma nello spogliatoio la storia continuò: "Fu divertente perchè Stroppa per mezz’ora si mise accanto a me a scuotermi «ma ti rendi conto che gol hai fatto? Ti rendi conto? Nemmeno hai esultato». Ma io pensavo alla partita successiva, ci servivano punti per la salvezza. Oggi ripensandoci ancora rido". 

Sedici anni di professionismo non si dimenticano, così come gli inizi al Milan che rimangono dei ricordi indelebili della sua carriera: “Ero un ragazzo giovane, venivo spesso aggregato alla Prima Squadra. Allenarmi con gente come Baresi, Maldini, Van Basten, Rijkaard era un sogno ad occhi aperti per un ragazzo come me venuto dal niente”. Gioventù che voleva dire anche inesperienza, soprattutto con i campioni più affermati: Un giorno ebbi la malaugurata idea di fare un tunnel a Baresi. Diciamo che non la prese benissimo, e la mia partitella finì lì. Ma non era certo una mancanza di rispetto, volevo soltanto dare il massimo ogni allenamento.”.

Scherzosamente ancora oggi Filippo Galli lo “incolpa” di avergli rovinato la carriera: “Ci scherziamo su da 30 anni. Durante uno dei tanti allenamenti fatti al massimo, perché in quel Milan lì ogni sessione era come una finale di Coppa Campioni, in uno scontro di gioco con me si fece male ad un occhio e dovette rimanere fuori per diverse settimane. In quel momento c’era un giovane Costacurta che spingeva e colse quell’occasione per guadagnarsi i gradi di titolare. Ovviamente Filippo ha fatto la storia del Milan, ma quando ci incontriamo ancora mi ricorda quell’infortunio e sorridendo mi dice: “E’ tutta colpa tua”.

 

 

Una voglia di fare che spesso andava contro i dettami tattici di Arrigo Sacchi: “Una volta mi schierò compagno d’attacco di Van Basten. Te lo immagini? Io e lui a dialogare in campo. Un sogno. Talmente tanto grande che preso dalla voglia di fare feci una partitella al massimo. Andavo in pressing su tutti, dicevo a Van Basten di non preoccuparsi. Dopo 10’ Sacchi fischia e mi chiama «Fabian ma che fai? Devi ripetere i movimenti di Marco Simone, non correre per tutto il campo».

Un rapporto particolare quello con Sacchi, che litigò fortemente con l’allora responsabile del settore giovanile Fabio Capello: “Ma chi mi hai portato? Questo non può giocare a pallone”. Un litigio che arrivò fino alle orecchie di Berlusconi. Capello lo aveva voluto al Milan e credeva molto in lui, alla fine anche Sacchi apprezzò la voglia e le qualità di Valtolina tanto da dargli il soprannome di Butragueno. “Un ricordo affettuoso che porto nel cuore. Ovviamente non perché somigliassi al Buitre ma per una semplice questione tattica. Prima delle grandi partite era abitudine di Sacchi schierare la Primavera contro i titolari facendoci giocare come se fossimo la squadra avversaria. Nell’anno della vittoria della Coppa Campioni il Milan giocò gli ottavi di finale contro il Real Madrid e durante quelle due settimane, in diversi allenamenti io dovetti trasformarmi nella brutta copia (ride, ndr) di Butragueno. E da lì mi rimase il soprannome, anche con Sacchi”.

 

 

Quello di giocare con la maglia rossonera è il grande sogno che non si è avverato. Un esordio sfiorato una notte di novembre del 1990. “Eravamo a San Siro, giocavamo in Coppa Italia contro il Lecce. Sacchi mi mandò a scaldare, era tutto pronto per il mio esordio ma l’espulsione di Filippo Galli obbligò il mister a fare un’altra scelta. Fuori Massaro, dentro il mio compagno di Primavera Bandirali. Chissà, magari Filippo lo ha fatto apposta dopo quel colpo all’occhio”. Scherza Valtolina, racconta quegli anni al Milan con il sorriso sulle labbra. Fu tutto magico, un sogno lontano 30 anni che riaffiora felice dai suoi racconti, fatti senza alcun rimpianto.

 

 

Perché la carriera di Valtolina è stata lunga e importante. Tanta Serie A, grandi obiettivi raggiunti con le maglie di Bologna, Piacenza, Venezia e Sampdoria su tutti. Fu uno dei primi pupilli di Beppe Marotta, che lo scelse ai tempi del Venezia e lo portò con sé nell’avventura vittoriosa di Genova. “Per anni ho creduto fosse stato Gianni Di Marzio a volermi, poi riparlandone con Beppe mi disse chiaramente che fu lui a volermi”. Novellino-Valtolina, un ticket che aveva funzionato in laguna e che si ripetè alla Sampdoria: “Entrambe furono esperienze forti, dal punto di vista emozionale ma anche di risultati. La storica salvezza con il Venezia, la promozione con i blucerchiati. Esperienze che porto nel cuore, ma quella al Venezia un po’ di più. Quando rimani 4 anni nello stesso club si creano dei rapporti anche con la gente, con i tifosi, che vanno al di là del campo”.

 

Quattro anni che furono segnati dal semestre uruguaiano del 1999. L’anno di Recoba al Venezia: “Furono mesi intensi. Dall’Inter arrivò un ragazzo fortissimo ma poco convinto. Non tanto nei suoi mezzi, ma dell’importanza che potesse avere per la squadra. I sei mesi precedenti all’Inter erano stati molto difficili, ne parlavamo spesso nello spogliatoio. Lui aveva bisogno di fiducia, a Venezia trovò l’ambiente perfetto per dimostrare quanto era forte”.

 

 

In sei mesi Recoba segnò 10 gol, guidando il Venezia ad una salvezza insperata: “Eravamo ultimi in classifica e ancora ricordo come Novellino si dannasse l’anima per trovare schemi giusti per invertire la rotta. Ovviamente lo ascoltavamo, e mettevamo in pratica i suoi insegnamenti ma di nascosto tutti noi compagni di squadra sapevamo che lo schema giusto era uno solo «prendere una punizione o un angolo, tanto poi ci pensa il Chino». Era una sentenza. In allenamento non ne sbagliava una. Devi credermi, le metteva tutte. Era incredibile”.

Ancora ride Valtolina se ripensa al 17 marzo del 2000. Giorno del compleanno dell’uruguaiano. “Novellino si presentò nello spogliatoio con una scultura in vetro di Murano raffigurante un cigno. Era il suo regalo per Recoba. Non capendo il motivo, glielo chiedemmo. «Mister ma perché un cigno?». «Beh, non lo chiamate tutti Chino?». Scoppiammo tutti a ridere. Ci mettemmo mezz’ora per spiegargli che Chino non voleva dire cigno ma cinese, per via degli occhi piccoli di Alvaro”.

 

  

Dopo il ritiro Valtolina ha scelto la via dei ragazzi. Da qualche anno allena i giovani dell’US Aldini, una scuola calcio di Milano affiliata con i rossoneri. E se la vita è davvero un cerchio, Fabian, almeno con il calcio, lo ha chiuso tornando alle origini. In mezzo ai ragazzi, questa volta dall’altra parte della barricata. Come trent’anni fa, quando un giovane del Saronno venne acquistato dal Milan. Segnalato da Capello, con un contratto firmato insieme a Braida: “Se ci ripenso mi vengono i brividi. E pensa che io quel giorno ero uscito di casa convinto di andare all’Inter. Così mi aveva detto il mio allenatore, ma poi il pullmino del Saronno mi portò a Milanello”. E da lì iniziò tutto, con la “delusione" di papà, da sempre tifoso dell’Inter.

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