Non Juve. Non Inter. Ma Fiorentina. Rimpianti che diventano tormenti, quasi ossessioni. Il direttore sportivo Pantaleo Corvino non ha dormito mesi e mesi per colpa di Arturo Vidal. «Conservo una sua maglia a casa…» rossa fiammante, del Bayern Monaco.
«Sulla dedica vorrei sorvolare…» ma non potrà: è il 2007 quando il ds della Fiorentina s’innamora del centrocampista cileno e decide di trattarlo col Bayer Leverkusen, squadra tedesca che lo ha portato in Europa da poco. «Quattro milioni e mezzo possono bastare, no?»
Certo, per un ragazzo semisconosciuto sono bei soldoni. E grazie anche al lavoro dell’agente del giocatore, Fernando Felicevich, le parti raggiungono un’intesa di massima praticamente su tutto.
La Fiorentina di Cesare Prandelli ha un’identità ben precisa, soprattutto in mezzo al campo, con tre giocatori a supportare gli attaccanti: Vidal, reputato una mezz’ala pura, purissima, può essere l’ingranaggio perfetto all’interno di un sistema collaudato.
«Ok, Fernando, vi aspetto domenica a casa mia in via Guerrazzi per firmare» sentenzia Corvino, che si raccomanda soprattutto di un particolare. «Incontriamoci alle 7 e mezza del mattino così nessuno potrà vederci.» Lontano da occhi indiscreti e voci di mercato inutili che rischierebbero di far saltare l’affare. Tutto in gran segreto, tutto molto rapidamente. Il cambio di programma, però, è dietro l’angolo. Sabato alle 18 la Fiorentina gioca all’Olimpico di Roma contro la Lazio e vince 1-0 grazie a un gol di Pazzini. Corvino, assente giustificato, rimane a casa aspettando Vidal e verso l’una di notte chiama il suo allenatore per analizzare velocemente il match. Inizia Prandelli.
«Guarda “Leo”, oggi abbiamo avuto grande equilibrio con questo nuovo modulo, il 4-2-3-1… non so, forse a questo punto il cileno non ci serve più.» Il ds sbianca, senza parole, e con la testa va già all’appuntamento che ha in programma sei ore dopo. «Adesso che gli dico, che gli dico?!» pensa in preda all’ansia Corvino, che prova ripetutamente, ma inutilmente, a chiamare l’agente del giocatore. Alle 5 del mattino Vidal e Felicevich prendono l’aereo e si presentano a Firenze alle 7.30 in punto. Il ds lascia sua moglie a letto e, a dir poco turbato, li fa accomodare. «Faccio un caffè?» Come no, graditissimo, peccato che in quel preciso istante non gli escano le parole di bocca, quasi imbarazzato da una situazione tragicomica. Non sa da dove iniziare. La strada giusta è quella della verità.
«Arturo, allora, la situazione è questa.» E gli racconta tutto, per filo e per segno.
«Sono disposto a farti firmare ugualmente il contratto ma devi decidere tu se accettare o meno… se firmassi saremmo tutti contenti però, capisci, bisogna tenere in conto tante dinamiche.» Il ds parla lento, prende tempo. Il ragazzo capisce subito e non va oltre.
«Direttore, la ringrazio per la sua onestà ma vorrei giocare con continuità, sono giovane e poco conosciuto, devo crescere.» Salta tutto. E l’unica traccia che resta a Corvino, oggi, di Arturo Vidal è proprio quella maglia del Bayern (dove il cileno arriverà dalla Juve nel 2015) rossa fiammante che conserva in casa. Nel retro della divisa, sotto il cognome, c’è una dedica speciale. Molto speciale.
«A quel… coglione di direttore che quella volta non mi prese.» E Corvino si sente un po’ come Lino Banfi ne L’allenatore nel pallone.