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I numeri del fallimento Italia

Una Nazionale in crisi identitaria, fedele specchio dell’Italia (Paese). Con tutto da perdere in ogni situazione. Un’epoca in cui il terrore di non giocare il Mondiale è diventato consuetudine. Come la mancata qualificazione: un bambino di dieci anni non sa cosa significhi vedere l’Italia ai mondiali. Molti ragazzini non hanno mai visto nemmeno una fase a eliminazione diretta, l’ultima partita rimane Italia-Francia a Berlino, 2006. Quindici anni in cui il pallone è diventato maledettamente sempre più pesante, tanto che per gestirlo servono carattere e responsabilità.

 

 

 


 

 

Un senso di responsabilità che è venuto a mancare. Non per indole (o meglio non solo) personale, ma anche strutturale. Senso di responsabilità ed esperienza si acquisiscono ai livelli più alti del calcio mondiale ogni anno. E per guadagnarsi questo status bisogna misurarsi con i più grandi, quanto più spesso possibile. Inteso come palcoscenico la fase finale di Champions League (ai gironi si accede per diritto nazionale e non internazionale) quante presenze, contano gli azzurri? Analizziamo i titolari di Italia-Macedonia del Nord: Donnarumma 2, Florenzi 15, Mancini 0, Bastoni 2, Emerson 3, Barella 0, Jorginho 8, Verratti 25, Berardi 0, Immobile 2, Insigne 4.

 

Due soli giocatori con più di dieci presenze, di cui uno solo, Verratti, forse l’unico a salvarsi nel naufragio palermitano, è centrale nell’economia del gioco della sua squadra e costantemente nell’élite europea. Dove gioca? Paris Saint Germain. Quindi estero. Un Gotha di over the top in cui non c’è posto per l’aristocrazia italiana. Assunte Milan, Inter e Napoli come le pretendenti allo Scudetto, quanti sono i giocatori italiani titolari nella formazione tipo?

 

 

 


 

 

Milan: Calabria (non convocato), Tonali (panchina contro la Macedonia). Paradossale il caso Florenzi: riserva con club e titolare in Nazionale. L’Inter schiera Bastoni e Barella (titolari ai playoff), il Napoli ha Di Lorenzo (infortunato) e Insigne (titolare a Palermo).

 

Quante si sono qualificate nella suddetta élite europea, quindi vincendo un doppio confronto ad eliminazione diretta? Zero. Negli ultimi 15 anni di crollo verticale della Nazionale, la Serie A ha giocato tre finali: due con la Juventus e una don l’Inter. Quanti azzurri giocavano nell’’undici tipo? Nella cavalcata nerazzurra del 2010 erano zero, nella campagna juventina del 2015 cinque, due anni dopo quattro. Tutti appartenente alla generazione precedente (Buffon, Barzagli, Pirlo, Marchisio) e due nella fase di transizione (Chiellini e Bonucci).

 

 

 


 

 

 

Attingere dalla Primavera può essere la risposta per fermare questa emorragia? No. O meglio, sì. Peccato che la percentuale di stranieri sia del 33.4%. Quanti del restante 66.6, gioca poi stabilmente in Serie A? Il 3%. Numeri che testimoniano il collasso del sistema calcio Italia, non nelle Primavere, ma a partire dalla formazione basilare di un giovane calciatore. Dagli esordienti. Un crollo sviluppatosi negli ultimi 15 anni. E cosa successe? Berlino 2006. L’Italia è ferma da allora.

Niccolò Severini

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