Un vero e proprio simbolo sardo: questo è Antonio Langella. Classe ’77, nato a Napoli, la sua famiglia si è trasferita quando lui era bambino a Sorso in provincia di Sassari, dove ha iniziato a giocare nelle giovanili della squadra locale prima e in Promozione poi. Da lì in poi, il suo talento è stato a servizio della gavetta per scalare le categorie del calcio: “Ho giocato in tutte le categorie (ride, ndr)” racconta Langella in esclusiva ai nostri microfoni, “fino ad arrivare al Cagliari, prima in Serie B e poi in Serie A. Approdare lì è stato realizzare il mio scopo, dopo tutti quegli anni”.
Il percorso non è stato infatti facile, dopo il Sorso Langella passa al Castelsardo, nel quale conosce il Campionato Nazionale Dilettanti (l’attuale Serie D) per cinque stagioni e anche la retrocessione in Eccellenza nel 1999: “All’epoca c’erano i parametri. In base all’età, valevi un prezzo preciso. Così dopo la retrocessione, la Torres utilizzò questo strumento per prendermi. Feci il salto fra i professionisti andando in Serie C2 e iniziò a cambiare la mia vita, anche a livello economico”.
Tre stagioni importanti, che danno a Langella l’opportunità di farsi conoscere non solo a livello locale. Anche se nel marzo 2002, quando non ci sono più le condizioni per restare a Sassari e l’attaccante è costretto alla rescissione con il club, arriva l’opportunità unica: “Il presidente del Cagliari Cellino era già venuto a vedermi, in più avevo parlato con Sonetti che mi voleva in squadra. Così feci il salto, che però non fu facile, vedevo che gli altri correvano come me e l’impatto non è stato subito come me lo immaginavo, mi sono dovuto abituare”.
Un anno e mezzo dopo, arriva dal Chelsea Gianfranco Zola, il sardo per eccellenza, per aiutare il club a tornare in A: “Ci ha fatto fare il salto di qualità e ci ha dato visibilità. Lui mi diceva sempre «Antonio, tu sei pazzo! Non ti accorgi del talento che hai! Saresti perfetto anche per il calcio inglese». Con lui furono anni bellissimi, vincemmo la Serie B come migliore attacco e finalmente arrivai in Serie A”.
I presupposti per diventare una leggenda del club ci sono: “L’intenzione era quella di restare a Cagliari a vita, l’ho sempre detto a Cellino. Stavo bene in Sardegna, il mio sogno era diventare capitano. Ma nel calcio succedono tante cose…” Fra un rapporto difficile con alcuni allenatori e tante offerte per strapparlo dalla sua regione: “A gennaio 2005 mi voleva lo Zenit San Pietroburgo, Cellino mi chiamò per chiedermi se fossi disponibile ad andare e io dissi di sì. Trovai l’accordo, ma all’ultimo momento cambiarono le pretese del Cagliari, che passò dal chiedere 9 milioni a 14 e saltò tutto…”.
Sei mesi dopo, quando Langella aveva appena concluso il suo primo campionato in Serie A, salta un’altra trattativa in modo simile: “Ero già un calciatore della Roma. La trattativa fra i giallorossi e il Cagliari però saltò a dieci minuti dalla fine dell’ultimo giorno di calciomercato: alle 18.50 mi avvisarono che non si era concluso l’accordo. C’era stato un problema nello stabilire il metodo di pagamento e non se ne face nulla anche in quel caso”.
La carriera di “Arrogu tottu”, il soprannome di Langella che come ci racconta in sardo significa “spacco tutto, che era simbolico per il mio modo di giocare: palla avanti, correre e buttare giù tutto” si conclude fra Atalanta, Chievo e Bari. Senza nessun rimpianto: “Tutte le tifoserie mi hanno voluto bene, i tifosi dell’Atalanta ancora mi chiamano ogni anno per fare la festa del club nonostante sia stato da loro solo per una stagione. Anche con il Torres c’è un buon rapporto, nonostante la rivalità con il Cagliari, la piazza ha capito i motivi del mio trasferimento”.
A dieci anni di distanza dall’addio dal calcio giocato, Langella ha una nuova vita: “Ho gestito un’impresa di gonfiabili fino a pochi mesi fa, poi la pandemia ha complicato tutto. Ora lavoro come responsabile di settore giovanile di una squadra a Porto Torres”. Sempre con la Sardegna nel cuore, sempre con la stessa intensità e la voglia di “spaccare tutto”.
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