Lo incontri e ti saluta col sorriso, segno di quell’eleganza con cui si è sempre contraddistinto anche in campo. Quella di Luca Saudati è la carriera segnata dal classico punto interrogativo a fine domanda: cosa sarebbe successo, se non avesse avuto tutti quegli infortuni che gli hanno condizionato le annate? Perché il giovane Luca era un attaccante promettentissimo, tanto da passare l’adolescenza nel settore giovanile di un grande club: “Sono cresciuto nel Milan. In rossonero sono rimasto dagli esordienti fino alla prima squadra dove sono rimasto quasi due anni e mezzo. Ho avuto Sacchi che mi ha fatto esordire a Verona, Capello e Zaccheroni”, ha raccontato ai microfoni di grandhotelcalciomercato.com.
I migliori sogni, Saudati, li ha esauditi prestissimo: “Sono ricordi bellissimi, perché io sono nato a Milano, vivevo a Milano ed ero milanista. Per me è stato un sogno vestire quella maglia ed essere in quella squadra piena di campioni, che non erano solo ottimi giocatori ma anche grandi persone. Con loro non potevi che crescere”.
Con il Milan, però, collezionerà solo sette presenze, senza riuscire mai a sfondare nel club che ha sempre tifato. I motivi sono due: la concorrenza e la sfortuna. Saudati si ricorda ancora benissimo quegli anni: “L’ultimo anno di Zaccheroni avevo la consapevolezza di essere l’ultima ruota del carro, avendo davanti attaccanti come Shevchenko, Bierhoff, Leonardo. Conoscevo le mie chance, e avendo una struttura fisica robusta giocare una partita ogni due mesi per me non era il massimo, anche se a volte disputavo partite importanti, anche in Champions League. Però avevo intravisto che avrei avuto poco spazio. Per questo ho pressato anch’io per poter andare a fare esperienza altrove, con continuità”.
Per quanto riguarda la sfortuna, purtroppo per Saudati, hanno parlato gli infortuni: “Ne ho avuti abbastanza e quelli sono momenti difficili dove ti senti anche da solo. Vedendo il film di Baggio mi sono rivisto in lui in alcune situazioni: mi sono anche commosso. Sono periodi difficili che mi hanno condizionato la carriera. Dopo l’infortunio a tibia e perone sono cambiato anche come giocatore, cambiando fisionomia e muscolatura”.
E a proposito di Baggio, proprio con il Divin Codino Saudati ha condiviso due tra i momenti più importanti della sua carriera. Il primo è il giorno del debutto assoluto in Serie A, il 26 gennaio 1997 allo Stadio Bentegodi di Verona con la maglia del Milan, Saudati si schierò in attacco proprio accanto a lui. Il secondo invece è stato ancora più emozionante: “L’episodio fu durante la stagione 2002/03. Io ero fuori per un brutto infortunio a tibia e perone, Baggio giocava al Brescia ma anche lui si era infortunato al ginocchio: ci ritrovammo in una clinica a Bologna. In una chiacchierata mi ha fatto sentire il suo sostegno ed è stato incredibile”.
La prima stagione senza troppi stop Saudati l’ha fatta a Perugia, nella stagione 2000/2001: “Ho un bel ricordo di quell’anno. Fu una stagione positiva. Cosmi creò un bell’ambiente in una piazza non facile perché la famiglia Gaucci era esigente. È stata la mia prima vera stagione in Serie A e feci 7 gol nonostante i soliti infortuni che mi hanno condizionato parecchie stagioni”. Uno di quei gol fu pesantissimo. Lo segnò a Roma, gelando un Olimpico giallorosso in corsa per lo Scudetto: “Mi ricordo che fu una partita che giocammo benissimo contro i futuri campioni d’Italia. Erano fortissimi e fu una partita difficile. Io su quel gol ci credevo: avevo studiato Antonioli, sapevo che era in difficoltà e che era un po’ beccato dal pubblico. Così ho creduto su quel pallone e ho sfruttato l’errore del portiere in uscita. Fu bello”.
Ma l’annata migliore della carriera di Saudati è stata quella di Empoli nella stagione 2006/07, segnata da traguardi personali e collettivi mai ripetuti: “Mi ricordo l’entusiasmo ricreato dalla società, che peraltro ringrazio di nuovo perché mi dettero fiducia in un periodo difficile: venivo da quasi due anni di stop per l’infortunio. L’Empoli ha sempre creduto nei giovani e nei calciatori che volevano rilanciarsi, vedi Cutrone quest’anno. Eravamo una bella squadra, c’erano Cagni e bravi giocatori. Riuscimmo a fare qualcosa di forse irripetibile a Empoli, centrando la qualificazione per la Coppa UEFA. Fortunatamente io non ebbi infortuni e questo mi permise di fare un’annata strepitosa: segnai 14 gol, è stato il mio record in A”.
Passando alle curiosità, se gli chiedi chi siano stati i giocatori che lo hanno impressionato di più trovi risposte prevedibili: “Shevchenko, Weah, Marco Simone. Da loro cercavo di rubare i segreti. A Bergamo invece m’impressionò Doni, per fisicità, tecnica, carattere e personalità. Anche Di Natale a Empoli era fortissimo”. Ma per quanto riguarda la figura dell’allenatore, Saudati sorprende. Sacchi? Capello? No: “Silvio Baldini il primo anno a Empoli (stagione 1999/00, ndr) a livello umano mi ha dato tanto. Qualche anno dopo poi ci ritrovammo, ma fu una delusione: era cambiato. Anche Cagni è una persona veramente pulita e corretta, che nel mondo del calcio è sempre più difficile da trovare”. L’aneddoto più assurdo invece lo racconta col sorriso: “Successe a Empoli con un allenatore. Non faccio il nome, ma ricordo che era uno che provocava molto per cercare di tirare fuori il meglio dai suoi giocatori. Io ero in campo e gli risposi male nel primo tempo. Nell’intervallo ci siamo scazzottati e lui mi sostituì. La partita finì 1-0 per noi. Il gol, comunque, lo segnai io nel primo tempo”.
Quando gli chiedi se sia rimasto in contatto con qualche ex calciatore, ti risponde di ‘no’, perché “sono un po’ uscito dal mondo del calcio”. Si spiega: “Qualche anno fa ho acquistato la Floria 2000 (una squadra dilettantistica di Firenze con scuola calcio, ndr). Poi però non mi sono trovato d’accordo su alcune scelte. Il mondo dilettantistico lo considero bello per i ragazzi, ma cambiare le idee alle società è difficile. Ho avuto delle difficoltà e per questo ho fatto due passi indietro. Ho fatto un’esperienza anche nel settore giovanile della Fiorentina ma anche lì vedevo pressioni inutili sul risultato, sul vincere e non sulla crescita del giocatore. Questo è ciò che mi dà noia nel mondo delle giovanili. Si ricerca sempre la fisicità e il ragazzo pronto subito per cercare il risultato. Così facendo non si dà la possibilità ai ragazzi più piccoli che magari hanno parecchio talento. So che non in tutte le società si lavora in questa maniera, ma credo che purtroppo invece questo sia il caso per l’85% dei casi in cui conta solo il risultato”.
Dalla scuola calcio alla scuola personale: “Oggi ho creato una scuola mia, dove faccio formazione ai ragazzi e lavoriamo sui gesti tecnici. Si chiama Techinal Soccer Saudati: faccio formazione sul campo ai ragazzi e anche agli istruttori delle società in giro per l’Italia che sono interessate a ciò che faccio. I ragazzi che ho io arrivano dalle società dilettantistiche: io gli faccio un po’ come il maestro di tennis, o una sorta di personal trainer in palestra. Con loro lavoriamo sulla tecnica individuale”. Niente pressioni inutili. Solo un aiuto in più per imparare classe, intelligenza ed eleganza da chi ne ha da vendere. In campo e fuori.
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