Marazzina, nuova vita negli States: “La Serie A e quella visita di Ferguson…”

Massima Marazzina nella sua carriera da giocatore non ha mai oltrepassato i confini nazionali. Sempre in Italia, tra Serie A e Serie B, con 128 gol in diciassette stagioni. Tutt’altra vita rispetto a quella attuale, perché Marazzina si è stabilito a Miami, in Florida, ma sempre con una costante: il calcio. “Faccio lezioni private di calcio e mi diverto a vedere i miglioramenti dei ragazzi – ci racconta – Il calcio negli Usa sta diventando più serio, la gente inizia a entrare nell’ottica che anche il ragazzo americano può far strada nel mondo del calcio”.

Una nuova vita a stelle e strisce, iniziata nel 2019 quando arrivò la telefonata del Sarasota Metropolis, un club delle divisioni inferiori statunitensi che ha affidato a Marazzina la gestione dirigenziale: “L’esperienza al Sarasota mi è servita, sono entrato nel loro modo di pensare – ammette – A volte le mie idee erano giuste, ma devi capire anche come viene recepito dagli americani“.
L’Inter e la Coppa Uefa a 18 anni
Una lunga carriera quella di Marazzina, iniziata con la maglia dell’Inter. Un’esperienza spesso dimenticata visto che il suo nome si ricorda soprattutto per le avventure con Bologna, Chievo e Torino. In nerazzurro, però, tutto è iniziato, anche con la vittoria della Coppa Uefa 1993-1994: “Nella foto di gruppo non si vede molto, ma c’ero – scherza Marazzina – Il mio compagno di camera era Nicola Berti, con lui le risate erano assicurate. Poi tornavo a casa con Beppe Bergomi. Cercavano di mettere a proprio agio i giovani per farli rendere al meglio, è quello che ho fatto anche negli ultimi anni della mia carriera“.
Se l’esordio in Serie A è avvenuto con l’Inter, la prima rete nella massima serie è arrivata nel 2000 con la Reggina: “Un anno indimenticabile dove ho conosciuto bravissime persone“. Lo step necessario prima di tornare al Chievo da protagonista, non più in Serie B, ma in Serie A: “Ho trascorso la maggior parte della mia carriera lì, sono stati anni intensi con soddisfazioni calcistiche eccezionali – spiega Marazzina – Mi sono divertito un sacco, ci sono stati tanti up and down, ma a me non piace la routine“.

Punti alti, come la convocazione in Nazionale da parte di Trapattoni nel 2002, con tanto di esordio in amichevole, a Catania contro gli Stati Uniti (scherzo del destino, la sua casa attuale). Ma anche momenti “down”, come i sei mesi alla Roma dove Marazzina non riuscì a lasciare traccia di sé.
La chiamata di Zamparini e l’incontro con Ferguson
Eppure quelli sono stati gli anni dove Marazzina era maggiormente corteggiato dai club. Proprio al rientro al Chievo dalla Roma, che non esercitò il diritto di riscatto, squilla il telefono del bomber. Dall’altra parte è Maurizio Zamparini, presidente del Palermo: “Vieni giù dai, con Toni farai una grande coppia per tornare in Serie A“. Alla fine, però, Marazzina scelse la Sampdoria: “Con il senno di poi ho sbagliato – ammette – sarei dovuto andare a Palermo”.
Il rimpianto più grande, però, arriva dall’Inghilterra: “Dovevo andare al Manchester United. Scese in Italia il fratello gemello di Ferguson per parlare con me e mia moglie, ma alla fine non se ne fece più niente con il Chievo. Un anno c’era anche il Tottenham su di me. Non essere riuscito a giocare all’estero è il mio più grande rammarico“.

Rammarico, come quello di non aver giocato in Serie A con il Torino. Un solo anno, tra il 2004 e il 2005, ma denso di soddisfazioni: “A Torino ho vissuto un anno pieno di emozioni, mi hanno trattato da re – racconta Marazzina – Quella è una maglia particolare, se non la indossi non ti rendi conto di quanto sia pesante. Quando stavo andando a Torino ero un funerale, non volevo assolutamente andare. Al primo allenamento, però, è stato subito amore. Ho fatto solo un anno, quando sono andato via ho lasciato lì il cuore. Abbiamo vinto un campionato dove nessuno ci dava tra i favoriti“.
Il futuro: “Voglio fare il talent scout”
Marazzina si è stabilito ormai a Miami e non pensa a tornare in Italia. L’Europa, e i club europei, sono un sogno con un ruolo ben preciso: “Mi piacerebbe fare il talent scout per qualche squadra. Qui ci sono giocatori di talento, bisogna soltanto trovarli. C’è un ragazzino di 7 anni che alleno io, ha fatto un provino al Feyenoord che lo ha preso e si è trasferito in Olanda con la famiglia. Mi piacerebbe che qualcuno si fidi di me e mi prendesse per fare scouting negli Stati Uniti o in Sud America“. Un sogno americano che continua.