Chissà quanto gli manca quella stanza azzurrina, con un piccolissimo alone di fumo di sigaretta consumata a furia di rivedere filmati, azioni su azioni della sua squadra. L’ultima volta che quella stanza aveva una forma e un colore, era granata e dentro lo stadio Filadelfia. Quella che adesso avrà Ivan Juric come inquilino. Walter Mazzarri, invece, è ripartito da Cagliari.
Ecco, quella è la parola giusta: niente panchine in corsa, a meno di operazioni pluriennali. Un po’ come è stato con il Torino, prima che il meccanismo si rompesse. Quella rottura è costata all’allenatore 680mila euro lordi: la quarta dimissione della sua storia professionale (quella più recente, al Watford). A molti era sembrato un esonero per la crisi di risultati, non andò proprio così.
Tutto ha origine all’inizio di dicembre 2019: la squadra tornava dalla trasferta (sofferta ma vittoriosa) per 1-0 contro il Genoa. Ad attendere i giocatori nella notte era qualche centinaio di tifosi: pullman accerchiato, cori contro la società. L’allenatore non era con il gruppo, ma rimase scosso da quanto successo: le prestazioni erano in calo, si pagava la stanchezza di un preliminare di Europa League che aveva prosciugato un po’ di morale in chi sperava nel passaggio ai gironi ed energie. E come quando ci sono le tensioni, arrivano anche i fraintendimenti. “Ai miei giocatori porto sempre l’esempio di Chiellini per la tenacia e dedizione che Giorgio impiega in ogni allenamento e in partita”, aveva dichiarato qualche settimana prima del faccia a faccia di cui sopra, in conferenza stampa. Citare proprio il capitano della Juve, in un momento non semplice: non era stato capito.
Una somma di fattori portò quindi Mazzarri a riflettere. Chiamò Belotti, quindi Cairo: “Sono pronto a dimettermi, mi assumo le responsabilità”. Il presidente del Torino però non diede seguito e rifiutò, convinto che solo l’allenatore fosse in grado di risolvere la situazione. Dopo un mese e mezzo di prestazioni difficili, arrivò la resa finale, con le dimissioni, questa volta accettate davvero, dopo la sconfitta in trasferta a Lecce. Mazzarri per convincere Cairo preferì non tornare a Torino nel charter con la squadra: al suo posto, arrivò Moreno Longo.
Dimissioni, ecco, non esonero come capitò con l’Inter. Un gesto voluto da Mazzarri per non andare a pesare sulle casse della società, il cui progetto sentiva sempre meno suo. E pensare che anche in granata la sua idea era quella di partire a inizio stagione. Non sarebbe dovuto arrivare a gennaio 2018 al posto di Mihajlovic: con Cairo e Petrachi era già tutto predisposto per il giugno successivo. Fu la dirigenza a chiedergli di anticipare, dopo la sconfitta in Coppa Italia nel derby contro la Juventus, fatale a Sinisa. Alti e bassi, gioie e dolori e un sistema di gioco più cambiato rispetto a quello che si è evidenziato: nel campionato 18/19, quello che regalò comunque il ritorno in Europa League con 63 punti in classifica, il Toro di Mazzarri fu il primo in Serie A per recuperi palla nella metà campo avversaria. Non è un caso che nella seconda parte di quell’anno, il Toro sarebbe stato addirittura quarto: un risultato simile, eppure nei fatti così diverso, da quello che lo vide coinvolto nel Napoli post fallimento.
Un progetto, quello, partito dal basso, su più anni, e portato avanti stagione dopo stagione. Proprio ciò che vuole ora a Cagliari. Quell’alone azzurrino di sigaretta, in una stanza è tornato ad esserci. Per restarci a lungo.
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