Messi, l’addio al Barça e la vittoria del settimo Pallone D’Oro: il retroscena su quei tentativi di Chelsea e Real Madrid…

Avreste mai immaginato di vedere Leo Messi con una maglia diversa da quella del Barcellona? Un sogno per tanti tifosi in giro per il mondo, una realtà che si è concretizzata quest’estate. La pulce ha lasciato il club blaugrana dopo ventuno anni. Eppure già qualche anno fa Messi è stato vicino a lasciare il Barça. Il primo è stato l’acerrimo rivale del Barcellona: il Real Madrid.

Messi al Real. Il colpo della storia. Florentino Perez ci ha provato, nel 2013, mandando alcuni suoi emissari in avanscoperta, pronto a pagare la clausola rescissoria da 250 milioni di euro. L’approccio, però, non fu dei migliori. Anzi, Messi respinse gli uomini mandati da Florentino e pure in maniera poco garbata: “Io al Real non ci vengo, perdete tempo!“. Nessun ringraziamento e nessun approfondimento, tanto che Perez non gradì.

Diverso, invece, quanto accaduto qualche mese dopo, a gennaio 2014. Messi era nel bel mezzo dell’inchiesta che lo coinvolse per frode. La rabbia e l’accanimento dell’Hacienda publica diventa una molla: “Voglio andare al Chelsea, muoviamoci!“. Leo chiama prima l’ex compagno Deco, diventato agente e con un passato a Stamford Bridge con Abramovich al comando. Poi chiede aiuto a un altro amico del suo entourage. Deco gli promette un incontro con il patron russo, mentre il secondo personaggio coinvolto parte alla carica di Mourinho. Non sarà difficile, considerando l’audulazione del figlio, Jose jr., nei confronti di Messi.
Così viene fissato un pranzo a Londra, proprio a casa di Mou: da una parte tre intermediari che espongono il progetto e la sua fattibilità, dall’altra l’allenatore del Chelsea, che stenta a crederci. Cosa ci si può inventare allora per non fargli avere più dubbi? Una videochiamata, precisamente in Facetime, Mourinho e Messi, faccia a faccia, roba da film. «Ciao Leo, sono José!» sparate i fuochi d’artificio. Di fronte due miti del calcio mondiale, avversari da sempre, che hanno una tresca di nascosto per mettersi insieme. Il salone dove avviene la telefonata diventa teatro di un aperitivo a lume di candela, occhi dolci e sguardi ammiccanti.

«Come stai, fenomeno?» rompe il ghiaccio il mister, con un palleggio tipico portoghese. «Ho appena saputo di questo tuo desiderio: beh, non sai quante notti in bianco passate per cercare di fermarti: se ti marcavo a zona mi facevi gol, se ti mettevo uno fisso addosso pure, se sceglievo una soluzione intermedia funzionava fino al tuo dribbling vincente. Sei il migliore, punto.» E la tattica inizia a diventare furbesca, machiavellica, degna del miglior Mourinho. «Quindi, sai che ti dico? Che devi rimanere dove sei!» provocando uno choc mica da poco ai personaggi presenti, che già si immaginavano milioni e milioni da dividere sulle commissioni.
Dall’altra parte del cellulare, Messi cambia espressione, pensa a una telecamera nascosta e a uno scherzo riuscito benissimo, sottovaluta un po’ la diavoleria dello Special One. Che insiste. «Non andare via, ti devono fare un monumento lì, resta a Barcellona. Sei nel posto migliore possibile per un numero uno come te. Però…» eccola la stoccata del fuoriclasse in panchina, un contropiede a duemila all’ora che cambia il volto della partita.
«Se poi un giorno, in una di quelle mattine in cui ti svegli per andare al campo per allenarti, vai a fare colazione e il caffè non ha più lo stesso sapore, il colore del cielo all’improvviso diventa grigio, la tua macchina non ti piace più, fai la strada per tornare a casa e provi tristezza, ti manca la gioia, la famiglia non è contenta, beh, in quel momento scuro e nero della tua vita… allora sì che dovrai aprire di nuovo la porta della felicità. E dietro quella porta, troverai me, José Mourinho, ad aspettarti!»

Scacco matto, Messi se la ride ed è già pazzo del suo nuovo corteggiatore, manca solo l’anello per celebrare la promessa di matrimonio. Il piano sembra funzionare: nei giorni dopo nell’ufficio di Marina Granovskaia, deus ex machina del Chelsea, si svolge un appuntamento. Tutto ok: clausola, ingaggio, diritti d’immagine. Per i dettagli, sarebbe stato presto coinvolto il papà, Jorge Horacio, che da sempre gestisce in prima persona cause e casse del figlio vincitore di sei Palloni d’oro. Eccolo, il possibile grande ostacolo: papà Messi, un tipo che si fa pochi scrupoli, in quel momento all’oscuro sia della volontà di Leo sia del piano già messo in atto per portarlo via dal Barcellona.
Ed eccolo l’altro ingranaggio che può far saltare tutto: Deco, sì, sedotto e poi abbandonato in questa trattativa. «Sì, so tutto, so tutto. Ho anche parlato con Messi l’altro giorno» risponde Mourinho senza pensare alle conseguenze. Che sono catastrofiche per il grande sogno. Perché Fabregas avvisa Deco del contatto avvenuto tra le parti e come una spirale ormai senza freni Deco fa la spia e il messaggio arriva subito anche al papà manager della Pulce. Non l’avesse mai fatto. Così, mentre il Chelsea manda ufficialmente agli intermediari il via libera alla richiesta del giocatore che aveva sparato 50 milioni di sterline netti l’anno più il 70 per cento dei diritti d’immagine, avviene il patatrac. Papà Jorge chiama il figlio Leo chiedendo spiegazioni. «Io non so niente, ti giuro» smentisce il 10 blaugrana, rinnegando telefonate e desideri, progetti di addio e impalcature inglesi.

Una bolla di sapone che cade a terra e sparisce non lasciando il minimo segno, come se non fosse mai successo nulla di nulla. Pazzesco. Un sorprendente passaggio indietro mentre stai per fare gol a porta vuota. Non da Messi sicuramente. Se ne fece una ragione, masticando amaro, uno che non ama perdere mai come Abramovic.
Si dileguarono furiosi gli intermediari che avevano accarezzato l’impresa, togliendo frettolosamente gli occhi da quei mega appartamenti da acquistare nelle zone più belle di Londra. E Messi rimase quindi dov’era, rinnovando quasi ogni anno il contratto a suon di ricchissimi aumenti.