Mino style. Dai vestiti ai rapporti con i calciatori, storia di chi è partito da zero e si è preso il mondo

Mino style. Dai vestiti ai rapporti con i calciatori, storia di chi è partito da zero e si è preso il mondo

Mino è uno di quelli che racconti fotografia per fotografia. Ognuna ha una storia al suo interno, che spesso parte da lontano. A volte è difficile delinearne la figura, precisarne i contorni e le sfumature. Sfogli l’album dei ricordi e ti fermi a pensare a ogni flash. Frasi, immagini e chi più ne ha più ne metta. Descrivere Raiola in due parole: icona e rivoluzione. Con la prima che ispira la seconda. Mino è entrato nel mondo del calcio a gamba tesa e si è preso tutto. Alla sua maniera. Spavaldo, spregiudicato e sempre molto sicuro di se. “Mi sottovalutano? Meglio. Così mi impongo e guadagno di più”. Mino Style. 

Icona e rivoluzione, dai vestiti ai rapporti con i calciatori

Capelli arruffati, polo larghe, Rolex al polso e un modo di vestire sciatto. Mamma Nunzia glielo ha sempre detto: “Mino conciati meglio”. Ma lui se ne è sempre fregato. Indipendentemente da chi avesse davanti, lui era così. Testardo, deciso e con due pensieri fissi in testa: fare soldi e farli nel modo in cui voleva lui. Entrambi centrati in pieno. Di soldi ne ha mossi tanti, tantissimi, creando sempre un rapporto di sangue con i propri assistiti. “Raiola per me è stato tutto… un agente, un padre, un amico. Molto più di famigliare”. Parola di uno come Ibra. I due si sono sempre trovati, caratteri simili, partiti dal niente con la stessa voglia di imporsi e primeggiare su tutto e tutti. Persone vere, in primis. Conta la sostanza, non la forma. Mino l’ha sempre detto, anche quando mamma Nunzia gli diceva di vestirsi meglio. Ha avuto ragione lui.  


 

 

Il viaggio di Raiola parte da un ristorante di Haarlem e finisce con il mondo ai suoi piedi, il tutto rivoluzionando il ruolo dell’agente. Dal modo di farlo ai rapporti con i calciatori. Ma andiamo per gradi. In Olanda Raiola non solo lavora nella pizzeria di famiglia “Napoli” ad Haarlem – nella piazza del mercato centrale di Grote Mark, a due passi dai canali e dalla chiesa Grande – ma serve ai tavoli, chiacchiera, crea legami e relazioni personali. Quello che poi ha fatto per tutta la carriera. “Mino era uno che ti accoglieva alla porta quando entravi e ti accompagnava fino al tavolo”. Prima foto. Poi il calcio, che si infila nella storia e non ne uscirà più. Raiola gioca nella squadra della città ma capisce presto che non è quella la sua strada: così tormenta il presidente – cliente abituale del ristorante di famiglia – e si fa assumere come direttore sportivo. Start. Parte così il rapporto tra Raiola e il mondo del pallone. Il ragazzo ha intuito, fiuto e lo avrà sempre. Quello che lo frega è un carattere irrequieto, incline al litigio e tipico di uno che non ama scendere a compromessi. Nel corso della sua carriera diventerà un punto di forza. Metodo Raiola. “Decido io, come e quando voglio”.  


 

 

Ci sono alcune caratteristiche che sono sue da sempre. Una di queste è la voglia di prendersi tutto, di staccarsi da un contesto in cui non si sentiva completo. Guardando il patrimonio riportato lo scorso anno da Forbes, con 84.7 milioni di fatturato e 847,7 milioni spostati grazie ai contratti dei suoi assistiti, si può dire che ce l’abbia fatta. Self made Man. Tradotto: Fatto da solo, partito quasi da zero. Ma in qualunque lingua gli fosse stato detto, Mino lo avrebbe capito. Ne parlava sette. Italiano (la sua famiglia viene da Angri, in provincia di Salerno), francese, tedesco, inglese, spagnolo, portoghese e ovviamente olandese. La maggior parte da autodidatta. Studio e lavoro prima di ogni cosa.  


 

 

Con molti calciatori il rapporto sarà speciale, diverso da quello canonico tra giocatore e agente. In una parola: innovatore. È sempre stato lui a scegliere i suoi assistiti, a conquistarli con il suo atteggiamento e il suo modo di fare. Con molti – vedi Balo o Ibra – è amore a prima vista: caratterialmente affini, fuori dagli schemi e senza peli sulla lingua. Con lui i calciatori hanno avuto un legame fortissimo, quasi paterno. Ti affidi a lui e schizzi alle stelle, è quasi matematico. È sempre stato lui a fissare il prezzo dei suoi assistiti, a fare la voce grossa con le società e a comandare il gioco. Cambiando tutto. Dallo stile all’idea che si aveva del procuratore: non contano i vestiti, le macchine con cui arrivi  o l’educazione con cui ti poni. Contano i fatti, conta la sostanza. E questo Raiola lo sapeva meglio di tutti. 

Dall’Haarlem a Ibra, Nedved e Balotelli

Oggi lascia al mondo del calcio una grande eredità. Dai suoi giocatori, tanti, tantissimi, forti, fortissimi al modo di interpretare il ruolo. Rivoluzionario. Un modo in cui l’abito non fa il monaco e il pensiero degli altri non è importante. Lo sono i conti, i risultati e il conto in banca. Pazienza se non stai simpatico a qualcuno. È il destino di tutti i grandi. E poi Mino è sempre stato così, ha sempre alzato le spalle e guardato oltre. È partito dalle traduzioni al fianco del procuratore Rob Jansen, alle intermediazioni nelle trattative di Arthur Numan, dall’Haarem al Twente, e di Bryan Roy al Foggia di Zeman. Poi tutti gli altri, sempre più forti e con contratti sempre più ricchi: Nedved, Ibra, Balotelli, De Ligt, Donnarumma e Haaland, solo per citarne alcuni. Senza mai cambiare, con la stessa faccia del ragazzino che lavorava nell’Haarlem e voleva prendersi il mondo. Ci è riuscito. E poco importa se a qualcuno non piaceva.