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9395 km con il calcio. I 15 viaggi di Amoruso: “E quell’offerta irrinunciabile dello Shakhtar”

A leggere la carriera di Nicola Amoruso ci si perde: ha giocato in 15 squadre diverse. 14 in A, una in B. Segnando 114 gol, senza mai una presenza in Nazionale: “C’erano troppi fenomeni. E la mia carriera è stata un’altalena”. Altalena che comincia a dondolare a Genova: “Sono arrivato alla Sampdoria a 14 anni, direttamente dalla Puglia. Per sentire la mia famiglia aspettavo la sera, con il telefono a gettoni. La mancanza si sentiva ma il campo aggiustava tutto”.

Giovanili, primavera e finalmente, nel 1993-94, la Serie A, “con compagni come Mancini e Gullit”. 8 presenze e 3 gol, i primi di una lunga serie. Poi la prima chiamata: “Era il Verona, ai tempi in B. Stavano costruendo una bella squadra per la promozione”. Tutti consigliano a Nicola di fare le valigie e partire. Ma un’altra telefonata, quella della Fidelis Andria, cambia le carte in tavola: “Nonostante dirigenti e compagni mi consigliassero il Verona, ho scelto di tornare nella mia Puglia”. A trenta chilometri da casa. Perché – frase che tornerà più volte nella sua carriera – “al cuor non si comanda”.

La mossa si rivela azzeccata: “Abbiamo fatto un buon campionato, toccando anche le prime posizioni”. Ma quel che colpisce è soprattutto lo score personale del ventunenne Amoruso: 15 gol in 34 partite. E si torna in A: “Speravo nella conferma della Sampdoria, ma così non è stato. Allora ho scelto Padova”. Un perfetto trampolino di lancio: doppia cifra presto raggiunta e “a gennaio ero già praticamente un giocatore della Juventus”.


Amoruso: “Mi volevano Juve, Milan e Inter”

“Quell’anno è stato bellissimo: mi avevano chiamato in tre. Non solo la Juve, ma anche di Milan di Galliani e l’Inter di Mazzola. Sono cresciuto in una famiglia juventina… ha scelto il cuore”. Ancora una volta. “La Juventus aveva appena vinto la Champions, con giocatori come Zidane e Del Piero. E nello spogliatoio c’era un’alchimia incredibile, che dura ancora oggi, e che ci ha permesso di vincere due Scudetti”.

L’infortunio e il calvario

Un inizio di carriera da film. E come in ogni film, arriva anche un evento tragico: Milan-Juventus, minuto trenta. Amoruso si gira, ma la gamba resta piantata nel terreno. E il perone fa crack: “Mi ci è voluto un anno per tornare al meglio, dopo un lunghissimo calvario di operazioni e terapie. Ma mai come prima”.

Da quel momento inizia il viaggio. Per ripartire rifiuta la proposta dell’Udinese e sceglie il Perugia di Mazzone, “un allenatore e una persona eccezionale”. Una bella stagione, poi il Napoli: “10 gol, ma la retrocessione”. Un altro boccone amaro. Quindi ancora Juve, con tanto di terzo Scudetto in carriera, e ancora Perugia. Giusto sei mesi in Umbria, poi una tappa a Como e un anno al Modena.


Amoruso: “La seconda giovinezza sotto il sole di Reggio”

La seconda giovinezza arriva “sotto il sole del mio Sud: prima una bella stagione al Messina, poi ho attraversato lo stretto e mi sono innamorato di Reggio Calabria. Lì ho vissuto tre anni bellissimi, specialmente i due con Mazzarri. Ho raggiunto i 100 gol in Serie A e gli infortuni si sono placati”. I tifosi granata lo amano e lui resta anche quando proprio Mazzarri, passato alla Sampdoria, gli propone di tornare in blucerchiato: “Ammetto che tornare a Genova era un sogno. Sarei tanto voluto ripartire da dove tutto è cominciato. E ci è mancato un soffio. Sarei andato anche gratis, a dirla tutta; ma le società non hanno trovato l’accordo”.

Amoruso: “Quell’offerta irrinunciabile dello Shakhtar”

Allora sceglie di tornare a Torino, questa volta sponda granata, “dove il pubblico è molto passionale”. Solo sei mesi, poi, in rapida successione, Siena, Parma e infine Atalanta, dove ha chiuso la carriera. Anche se “Prima di scegliere Bergamo ho ricevuto un’offerta irrinunciabile dallo Shakhtar di Lucescu. C’erano sul piatto tanti soldi, ma soprattutto la possibilità di giocare la Champions. Ancora oggi mi chiedo perché ho rifiutato. Una delle scelte più sbagliate della mia carriera”.

Un lungo viaggio di 15 tappe e mille cartoline. Novemilatrecentonovantacinque (sì, 9395) chilometri con il pallone tra i piedi. Cadute e successi. Da libro, o da film. In sintesi: la vita del più grande “bomber errante” d’Italia.

Luca Bendoni

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