Dalla ‘remuntada’ di Pepito al lavoro ‘extra’ di Vlahovic: Nicola Caccia, tra ricordi e nuove sfide

E’ inizio ottobre ma il cima è tiepido a Milano. Il sole, alle quattro del pomeriggio, ci batte dritto negli occhi. «Sai che ti dico, in Toscana faceva più caldo!», puntualizza Nicola, che decide di coprirsi con uno scaldacollo. Come se fosse a bordocampo. «Hai visto la Nazionale spagnola come ha giocato qui contro l’Italia? Spavalda, senza paura, con qualità». Entriamo subito nel discorso. Si parla di calcio.
Nicola Caccia, nato il 10 aprile del 1970 a Castello di Cisterna, in provincia di Napoli, ha fatto l’attaccante in Serie A segnando un bel po’ di gol, soprattutto a Piacenza. E’ nella hall of fame del Genoa. Storia. Adesso, dopo tanti anni come collaboratore tecnico di Montella, con cui ha lavorato a Firenze, Genova, Milano e Siviglia, è pronto per una nuova esperienza da primo allenatore.

L’idea di gioco è chiara: «Vincere giocando bene». Il massimo, insomma. «Serve un’organizzazione ma per dire, un modulo ideale io non ce l’ho perché per me un modulo ideale non esiste. Gira tutto intorno ai giocatori che hai in rosa, il modulo è relativo. Fondamentale è il concetto di calcio che un allenatore vuole trasmettere. Io voglio che i miei ragazzi siano propositivi». Tecnica e sostanza. Un comandamento, un solo comandamento secondo Nicola: «I calciatori di qualità per me devono giocare sempre. Un giocatore di qualità, se ce l’hai, devi tenertelo stretto, e non cambiarlo mai». Un esempio. «20 Ottobre 2013 (un accadde oggi bello e buono!) Fiorentina-Juventus. Stavamo perdendo due a zero e Pepito sembrava inesistente, non toccava un pallone da un’ora. Cosa fai, lo levi? No, non puoi mai…». Ed è finita come tutti sappiamo, con una tripletta di Rossi. «Un attaccante fantastico, quando calciava in porta segnava, non ce n’era. Sinistro secco, tra palo e portiere: un killer. I tre gol alla Juventus resteranno nella storia. Io me li sono goduti tutti da dietro la porta degli avversari, durante quell’anno ero solito seguire le partite da lì». E la Fiorentina, ancora oggi sui social, lo ricorda con amore.

Da un attaccante all’altro, un altro che Nicola Caccia ha allenato ai tempi della Fiorentina. «Cosa ti posso dire di Vlahovic? E’ un ragazzo che ha sempre avuto le idee molto chiare, ovvero diventare un top assoluto. Ha fame, cattiveria, ambizione. A fine allenamento veniva lui da me chiedendomi ‘mister, facciamo qualcosa in più?’ per farti capire cosa significa avere una mentalità da grande lavoratore». E tu? Risposta semplice. «Dopo un’ora e mezza di extra non potevo che dire ‘oh, Dusan, basta!’ anche perché poi sennò diventa troppo, stravolgi il piano settimanale di allenamenti». Un altro che ha sempre cercato il miglioramento giornaliero è Federico Chiesa, che al primo anno di Primavera Viola non giocava quasi mai e poi, anni dopo, si è trovato titolare alla prima di campionato a Torino contro la Juventus. Ma non per caso. Nicola racconta: «Federico è un calciatore devastante, può giocare in tutte le zone del campo. Non capisci se sia destro o mancino perché calcia forte, potente e preciso con entrambi i piedi. E poi prende sempre la porta. Ha una rabbia diversa rispetto agli altri e ti assicuro che va a mille anche in allenamento durante la settimana. Senza paura. La testa fa la differenza».

Caccia ha avuto modo di testare anche le qualità di un certo Momo Salah, passato per Firenze nel 2015. «Non appena lo abbiamo visto da vicino, io e Vincenzo (Montella, ndr) ci siamo detti ‘ma questo è fortissimo!’ con tanto di bocca aperta dallo stupore. Impressionante per velocità. Andava a cento all’ora e riusciva comunque a fare giocate da grande campione». Di attaccanti se ne intende Nicola, da buon attaccante qual è stato. Ci vede prima. Ma di segreti per arrivare ad alti livelli non ne ha molti. Ne bastano un paio: «Professionalità e lavoro». Serietà prima di tutto. Come allenatori stima molto Mancini e Gasperini. «L’Italia gioca benissimo, l’Atalanta è un esempio, non si adatta mai all’avversario, impone il suo calcio e diverte». Una battuta su Montella, con cui ovviamente ha un rapporto speciale. «E’ un ragazzo d’oro, preparato, serio. Chi viene allenato da Vincenzo sa cosa voglio dire, perché un calciatore, sotto la sua gestione, impara. E’ un peccato che sia andato in Turchia, mi dispiace davvero molto perché credo che potesse tranquillamente a fare la differenza in Italia. Ma tornerà, ne sono certo. Può dare ancora tanto al nostro calcio». Nicola sa che i risultati sono fondamentali per un allenatore ma «bisogna capire come e perché perdi». Vedi Di Francesco al Verona. «Forse Eusebio avrebbe meritato un po’ più di tempo». Tempo al tempo, chi lavora bene viene premiato. Nicola è pronto per nuove sfide, con l’obiettivo di far gol… anche dalla panchina.