Uno spagnolo con nome italiano. Prima palleggiava con Ronaldinho negli spogliatoi, poi in Inghilterra faceva gol così (qui, con la maglia del Brighton).
La storia da calciatore di Andrea Orlandi si è interrotta di colpo: aveva 35 anni quando gli dissero di doversi fermare. Una patologia al cuore, rilevata al momento delle visite mediche con l’Entella in Serie C (era il 31 gennaio 2019; in Italia era già stato, al Novara, la città d’origine dei suoi genitori). Un trauma. “Ho firmato per l’Entella il 31 gennaio, prima giocavo in India (al Chennaiyin, ndr). Il primo giorno di febbraio sono arrivato in Italia e il 3 dello stesso mese ho svolto le visite mediche. Già in quel momento era stato notato qualcosa non del tutto convincente così mi è stato applicato un holter per monitorare il mio cuore e nei giorni successivi la risonanza ha riscontrato una cicatrice sospetta. Così, approfondendo la situazione, il cardiologo ci ha riferito di non potermi concedere l’idoneità sportiva a causa di una cardiopatia”, aveva raccontato (qui l’intervista completa).
Non è stato facile affrontarlo. “Non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non fossi venuto a Chiavari, sto male solo a pensarci. Ho pianto, tantissimo: il senso di smarrimento è stato enorme”. Anche perché la sua carriera era partita con ben altre prospettive: “Nel 2006 esordii nel Barcellona contro l’Athletic. Uno dei momenti più belli in assoluto. Ricordo ogni istante di quel giorno. Ero a tavola con Eto’o e stavo mangiando l’insalata. Ad un certo punto un altro ragazzo salito in prima squadra dalla cantera come me mi viene a dire che Rijkaard aveva appeso il foglio con la formazione titolare e io ero nell’undici. ‘Andrea, guarda che giochi!’. Io, stupito, ho risposto d’istinto: ‘Ma scherzi?’. ‘Sì, sì. Terzino sinistro’. Da quel momento non sono più riuscito a mangiare l’insalata. Ero nervosissimo! Eto’o l’ha capito subito e mi ha chiesto se prima di allora avessi mai giocato come terzino. Ed in effetti era la prima volta. Di quella partita conservo ancora maglietta e pantaloncini, tra l’altro sono un appassionato di queste cose. Quel giorno mi feci dare la maglietta anche da Ludovic Giuly”.
Una volta Ronaldinho lo sfidò a una gara di palleggi negli spogliatoi, ora invece si occupa di fare il genitore a tempo pieno. “Mi piace cucinare, lo faccio spesso in famiglia”. Il cuore, in questo caso, si emoziona sempre. Ma è una bella sensazione.
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