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Un trasferimento che è un tradimento alla patria: Rakitskyi passò dallo Shakhtar allo Zenit perdendo l’Ucraina

Nascere nel 1989 in Unione Sovietica ha un peso specifico geopolitico e sociale elevato. Essere e riconoscersi ucraino dopo il 9 novembre di quell’anno ha uno status preciso. Elevarsi a bandiera dello Shakthar Donetsk negli anni Dieci del 2000 lo è ancora di più. Trasferirsi in Russia, nel 2019, è un affronto. Un tradimento. 


È la sintesi, fin troppo banale, della vita e della carriera di Yaroslav Rakitskyi. Il difensore ucraino ha giocato nove anni nello Shakthar, facendo prima tutta la trafila delle giovanili nella squadra di Donetsk. La città è la capitale del Donbass la regione russofona separatista dell’Ucraina orientale. Nonché una delle due regioni che ha scatenato il conflitto russo-ucraino sfociato nel bombardamento di Mosca nella notte di giovedì (qui il live per seguire la situazione).

L’origine del conflitto è dell’aprile 2014, anno in cui lo Shakhtar ha smesso di giocare in casa – i primi danneggiamenti del conflitto danneggiarono la Donbass Arena – e ha cercato rifugio per le gare interne tra Leopoli e Kiev.  


 

Il tradimento a una nazione

Rakitskyi nel febbraio 2019 ha scelto di continuare la propria carriera allo Zenit, dopo nove anni nello Shakhtar appunto. Una decisione accolta come un tradimento in patria. Imperdonabile. Anche perché San Pietroburgo è la città natale del presidente russo Vladimir Putin. Da quel momento Rakitskyi ha perso la nazionale ucraina.

Alcuni compagni definirono inammissibile il suo comportamento, il Ct dell’Under 21 si limitò a un “complicato” quando gli chiesero se sarebbe potuto tornare. Andryi Shevchenko, allora allenatore dell’Ucraina non si espresse a parole, ma nei fatti. Rakitskyi non fu piu convocato e tuttora quella del 16 ottobre 2018 contro la Repubblica Ceca rimane la sua ultima presenza in Nazionale.

Spesso il calcio è definito la cosa più importante tra le cose meno importanti. Ma il peso sociale – dello sport in generale – impatta nella vita di persone e popoli e ne cambia diametralmente la considerazione e i rapporti. Perché se c’è di mezzo un conflitto, anche un banale trasferimento di mercato è vitale.

Niccolò Severini

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