Genio, sregolatezza, guai, bravate e lampi di alta classe. Robinho è questo e tanto altro. Cadute, riprese, e ancora cadute. Alla voce talenti sprecati il suo è uno di quei nomi scritti in maiuscolo e cerchiati in grassetto. Rimpianto. Per quanto forte poteva diventare e per quello che invece è stato. Questione di testa, perché con i piedi probabilmente non era secondo a nessuno.
Dribbling, giocate da urlo e colpi da alzarsi in piedi e applaudire senza sosta. Robinho è diventato famoso con le pedaladas, doppi passi con cui ha fatto innamorare chiunque lo abbia visto. Il brasiliano è uno di quelli che quando i pianeti sono allineati con il pallone fa quello che vuole. È imprendibile. Tanto da stregare anche Pelé che se ne innamora. “È il mio erede. Sarà il futuro della nazionale brasiliana”. Parole non da poco, uno sponsor mica male. Robinho era un Menino de la Vila, uno dei ragazzini di Vila Belmiro, nati e cresciuti sui campi di terra e sabbia prima di partire alla conquista dell’Europa. Tra promesse, sogni e grandi aspettative. Al Santos lui e Diego, che poi verrà in Italia alla Juventus, sono imprendibili e pieni di talento. Sono il “magrolino” e il “testone”, fanno impazzire le difese e riportano il titolo al Peixe dopo 34 anni. Simboli, spensierati e già nella storia.
Arriva poi il momento di fare il grande passo. Questo é il salto che gli é sempre mancato. Può capitare quando le feste, il denaro e gli eccessi ti distraggono dai tuoi obiettivi. Sopratutto se vieni dal niente. Papà idraulico e mamma casalinga, lei che venne rapita e tenuta in ostaggio per più di un mese. Servirono ottantamila euro per il riscatto. Ennesimo guaio. Cambiare aria é la scelta giusta, specie se alla porta bussa il Real Madrid. Maglia numero 10 e accoglienza da star. Ma non rispetta le attese, come é successo troppo spesso. É arrivato in Spagna che doveva essere il nuovo Pelé, ma si è perso tra feste, alcool e poca disciplina. Non proprio un comportamento da professionista esemplare. Peccato.
Il suo compagno di bravate è Ronaldo, uno che come lui in campo era devastante e che allo stesso tempo non si é mai posto limiti fuori. Non sono paragonabili, ma il talento era tantissimo da entrambe le parti. Teste calde, ma piedi di un altro pianeta. Ritardi, notti brave e chi ne ha più ne metta. Al Real ovviamente se ne accorgono e Capello non può che punirlo. Poi diventa inevitabile la cessione. Lo vuole il Chelsea, che addirittura mette in vendita le magliette con il suo nome prima della chiusura dell’affare, ma alla fine finisce al City. Anche qui le cose non andranno bene, a partire dal giorno della presentazione. “Sono contento di essere qui, il Chelsea è un grandissimo club”. Prima gaffe, probabilmente era ubriaco. E se il buongiorno si vede dal mattino…
Parte bene ma, come sempre, poi si perde per strada. O meglio tra i locali. In campo è una cosa, fuori un’altra. Litiga con tutti, in particolare con Craig Bellamy per colpa di un paio di palloni non passati. “È il giocatore più matto con cui abbia mai giocato”. E se lo dice uno come lui, bisogna crederci. Con il City le cose non vanno e dopo 3 anni cambiare aria è la soluzione, colpa anche delle regole troppo rigide di Hughes. Arriva il Milan con cui sarà scudetto al primo anno. Gran colpo di Galliani, solita intuizione nei giorni del condor. Ma gli mancò l’equilibrio, la costanza e la forza per tornare ai suoi livelli. Così sarà anche in nazionale. Rimane il ricordo del campione che poteva essere e non è stato. Talento sprecato, su tutta la linea.
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