Sinisa Mihajlovic e (il) Bologna: è stata una storia d’amore, nonostante mille difficoltà e ostacoli. La malattia. Bastarda e tenace, lo ha costretto a stare lontano dai campi per intraprendere un nuovo percorso di cure. Proprio nel momento clou dello scorso campionato. Ma Sinisa ha sempre combattuto, in campo finché ha potuto, come nella vita. Resistuendo a chi ha seguito l’evoluzione della sua malattia la tenacia e la dignità della stessa e del dolore.
“Se possibile, vuole batterti anche a carte”, raccontano di lui. Uno che di trionfi da giocatore ne ha vissuti tanti, a partire dalla Champions League conquistata con la Stella Rossa. E poi due Scudetti con Lazio e Inter, una Supercoppa UEFA, una Coppa Delle Coppe, tre campionati jugoslavi, quattro Coppe Italia e l’elenco potrebbe continuare.
Da allenatore, invece, non ha mai alzato un trofeo. Ma, forse, ha un merito ancor più grande: aver lanciato numerosi giovani di grandi prospettive. Uno su tutti: Gigio Donnarumma. “Ringrazierò Miha per tutta la vita”, aveva detto il portiere azzurro, dedicando parole al miele all’allenatore che ha creduto per primo in lui tra i grandi. E così ha fatto appena ha saputo la notizia della sua morte. Alla Samp ha dato spazio a Correa. A Firenze a Nastasic, Seferovic e Piccini. Infine, a Bologna, poi, ha creduto in “sconosciuti” diventati protagonisti, come Hickey, Theate, Tomiyasu, Schouten.
Nomi e giocatori che sotto la sua guida sono cresciuti (o stanno crescendo, per gli ultimi nomi) moltissimo. Con la cultura del lavoro, lo spirito di sacrificio e la consapevolezza che – come dice Mihajlovic – “chi fa questo mestiere è privilegiato. La vera fatica la fa chi si alza alle 4 del mattino per portare a casa il pane”. In tre parole: umiltà, consapevolezza, battaglia.
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