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“Ho rischiato la vita”. La storia di Dalmat e il “sogno Inter”

La prima cosa che bisogna capire, è se il numero sia ancora attivo. Poi, su Whatsapp, si nota la foto profilo: maglia dell’Inter con il numero 18 e il nome, Dalmat. “Volevo farlo per festeggiare lo scudetto: quello è sempre stato un club particolare per me”. Due anni e mezzo a Milano non si dimenticano. Soprattutto, non quelli.

 


 

Se ho un rimpianto”, ci racconta in esclusiva Stéphane, “è quello di essermene andato via troppo presto”. Era arrivato nel gennaio del 2001 dal Psg: scambio con il brasiliano Vampeta, una delle meteore più incredibili della storia nerazzurra. Ha vissuto i primi sei mesi tormentati con Tardelli.

 


 

Poi due anni con Cuper, compreso quell’assurdo epilogo del maggio 2002, con lo scudetto perso nella partita finale contro la Lazio. Anche per questo, a distanza di anni, la maglia dell’Inter la espone con orgoglio. “Mi sarebbe piaciuto lasciare un’impronta diversa, ma è andata così. Ho tanti bei ricordi: quello a cui sono più legato è il primo gol con questa maglia a San Siro”. 21 aprile 2001: una rete pazzesca da fuori area contro la Fiorentina. “Mi sembrava di stare tra le nuvole”.

Quella giocata, quel gol, sembravano da Playstation. E infatti lo chiavano Joystick. “È colpa di Seedorf”, ride. “Aveva assegnato a tutti i giocatori della squadra un soprannome. E il mio era per le mosse che facevo in campo, come nei videogiochi. Ne ero fiero: con tutti quei campioni…”.

 


All’Inter, ne ha conosciuti tanti: Zanetti, un giovanissimo Adriano (che era arrivato proprio in quel gennaio 2001), Ronaldo il Fenomeno. Alla fine del 2002, il brasiliano se ne sarebbe andato perché con Cuper proprio non funzionava. “Era preoccupatissimo per il peso”, racconta, “ma in campo era incredibile”. Un po’ come gli altri: “Mi ha sempre colpito la semplicità di come vivevano. Avevo legato molto proprio con Seedorf e Kallon. Ma poi mi ricordo ancora quanto mi facesse ridere Vieri (e proprio a casa sua c’è un quadro con lui, ndr) e come si comportasse Di Biagio durante gli allenamenti”. 

I retroscena di calciomercato di Dalmat: “Inter, ma anche Milan e Lazio…”

Ma come era finito a Milano? “Erano due anni che mi seguivano, ma non se ne era mai fatto nulla. Nell’estate del 2000, avevo accettato un contratto di cinque anni con il Psg”. Era appena arrivato Luis Fernandez in panchina, si stava aprendo un nuovo corso, ma poi era arrivata la chiamata dei nerazzurri. 


 “Andava tutto bene, ma quando a gennaio si era fatta avanti l’Inter, non avevo potuto dire di no: si trattava di uno dei club più titolati al mondo, un salto avanti enorme in carriera”. E pensare che sarebbe potuto andare al Milan. “Due anni prima, mi aveva cercato Braida, poi anche la Lazio. Ma il Lens, il mio club di allora, non voleva lasciarmi partire”. 

L’incubo di Dalmat

Il ricordo della sua carriera è felice. Il dopo, invece, non è stato semplice. “Ho vissuto mesi davvero difficili”, racconta. Sereno, ma fermo. “Nel 2017 a Bordeaux sono stato vittima di un gravissimo incidente in moto. Ho rischiato di morire: sei giorni di coma e poi sei mesi di sedia a rotelle. Avrei potuto perdere l’uso delle gambe. Ma mi sono detto che ero un atleta di alto livello, che ero abituato a non mollare mai: penso che sia stato decisivo. Ora il peggio è passato, non ho conseguenze e posso anche ricominciare un po’ a correre”. Il sogno? “Magari tornare a giocare di nuovo a calcio, perché no? Adesso penso solo alla mia famiglia: fra due mesi sarò papà e avrò un pochino da lavorare…”. Ride. Per un club c’è tempo: “Con calma, si vedrà”.

 


Un campione sa quando è il momento di fermarsi, prima di ripartire. Questa non è Playstation. È vita.

Valentino Della Casa

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