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“Consigliai Diamanti, mi piaceva Pessina”. Il “tre per uno” di Galante

Si è sempre detto che il bello del calcio è la qualità dei personaggi che offre. Questione di maiuscole, o di virgolette. Perché negli anni Novanta e Duemila, il “Bello del calcio” è stato anche lui: Fabio Galante. Estetica fuori e dentro al campo: difensore elegante che era arrivato nell’Inter dei grandissimi, per poi darsi ad altre sfide che ha sempre colto con piacere. In campo giocava e pure bene. Ma può un giocatore essere agente di se stesso? E osservatore ancora in carriera?

Il calciomercato (e il record) di Galante

Ho avuto una grande fortuna” ci racconta Fabio, “le mie trattative sono state sempre facili. Perché quando decidevo di spostarmi, andavo dove volevo”. Empoli, quindi Genoa, poi Inter e Torino. “Andava sempre tutto bene”. Vanta ancora un record, quello di essere il giocatore con il cartellino più caro pagato a una squadra di Serie C: “C’erano ancora le lire quando mi acquistò il Genoa dall’Empoli”, ricorda. 4 miliardi: 2 milioni di euro. “Non male, me lo ricordo ancora”, commenta. Tre anni nell’Inter (dal ‘96 al ‘99) e poi 5 nel Torino. Quindi?

 


 

A 31 anni, il calcio sembrava essersi dimenticato di me”. In granata era un giocatore importante, ma nel 2004, con la squadra in B, le richieste non arrivavano. “Mi sentivo ancora pronto per giocare, ma il mio agente non riusciva a trovare nulla. Così mi sono arrangiato, e mi sono gestito da solo”. Chiamando Spinelli, che già conosceva dai tempi di Genova. “Feci 4 giorni di allenamenti, quindi firmai”. Con una particolarità: i contratti erano tutti annuali. Stagione dopo stagione, arrivavano i rinnovi (oltre 150 partite con i toscani, non poca roba).

 


 

Facevo 30-37 partite all’anno, giocavo sempre. Avevo anche ricevuto le offerte di alcune squadre importanti: il Parma, il Bologna, per esempio. Anche dalla Premier. Ma avevo sposato Livorno, volevo restare lì”. E anzi, avrebbe fatto molto di più.

Galante: calciatore e… osservatore

Perché Galante non è stato soltanto agente di se stesso. Ma anche osservatore del club mentre giocava. Nulla di istituzionale, sia chiaro. Ma un calciatore a Livorno l’ha portato. E che calciatore. “C’era un mio amico che continuava a dirmi che a Prato giocava un fenomeno”. Un certo Alessandro Diamanti.

Un giorno venne a sapere che durante il ritiro estivo, avremmo dovuto affrontare proprio la sua squadra. ‘Vedrai che fatica’, mi disse. E in effetti ci fece diventare matti. Poi andai a vederlo qualche volta in C2, e lo segnalai a Spinelli”. La risposta? “Belin, Fabio. È forte, ma come si comporterà?”. Testuale (e non è l’unico a raccontare episodi così). “In effetti Alino doveva trovare una sua dimensione”. Aveva già avuto un’occasione nella Fiorentina, ma non era andata bene. “Doveva essere inquadrato” continua Galante. “Dissi al presidente di fidarsi di noi, che lo avremmo massacrato”. E così fu.

 


 

Arrivò, gli facemmo capire che per diventare calciatore ad alti livelli, bisognava avere una testa focalizzata sul lavoro. Lui ci seguì, ed è diventato chi conosciamo”, racconta con un po’ di orgoglio.

Il retroscena su Pessina

D’altra parte, Fabio la vista per i giocatori ha dimostrato di averla anche in altre occasioni. Settembre 2016: Galante aveva smesso di giocare da 6 anni ed era diventato direttore sportivo del Chiasso. Era andato a vedere una partita del “suo” Livorno a Como, dove giocava un diciannovenne scuola Milan. A un giornalista suo amico, che lo aveva intervistato per l’occasione, aveva pronosticato qualcosa. “Se c’è un potenziale Diamanti in questa partita? Non ho dubbi, Pessina”, aveva detto. Colpito e affondato. 

 


 

Dopo la Svizzera, Galante ha ricoperto il ruolo di osservatore per l’Inter di Spalletti, diventando poi ambasciatore istituzionale del club. Ora aspetta una nuova occasione, guarda un sacco di partite, alla ricerca di nuovi talenti da scoprire. Il biglietto da visita c’è. È il bello del calcio.

Valentino Della Casa

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