Avete mai letto Pascoli? Avere occhi da bambino non è questione d’età, ma di testa. Lo si può essere sempre, dipende dai sentimenti. 37 anni, oltre 450 partite da professionista di cui 58 in Serie A: non parliamo di un ragazzino. Ma quando Massimo Loviso racconta di Roberto Baggio, sembra di sentire un piccolo tifoso che per la prima volta vede dal vivo un suo idolo. Fa quasi fatica a parlare.
“Quando vado a casa dei miei genitori, nella mia cameretta ci sono ancora tutti i suoi poster”. Allora era “solo” un idolo. Non avrebbe mai potuto pensare che il suo esordio in A sarebbe stato proprio contro di lui. 8 novembre 2003, Brescia-Bologna: tra i lombardi di De Biasi, l’ultima stagione di Baggio; tra i rossoblù, la prima, a 19 anni, di un giovane centrocampista centrale con la faccia pulita, l’accento emiliano (come Pascoli, guarda un po’) e l’emozione quando Mazzone, arrivato proprio dopo l’esperienza a Brescia, gli aveva dett: “Daje, Massimo. Vatte a preparà”.
Esordio da titolare contro l'idolo di sempre. “Ma quella volta non me la sono sentita di chiedergli la maglia. Però ho chiesto aiuto a Beppe Signori per il ritorno: sapeva quanto lo amassi”. “Lo facciamo, lo facciamo”, lo aveva rassicurato il compagno. “Ho ancora quella maglietta incorniciata, qui a casa mia. È uno dei miei ricordi più belli in carriera”. Che non è ancora finita. Ha giocato in Bologna, Livorno, Torino, Lecce, Crotone e molte altre.
Cosa fa ora Massimo Loviso
In tutte le categorie: ora è in Serie D, a Castelnuovo Vomano in provincia di Teramo: è una realtà nuova, ambiziosa e dista mezz’ora dalla sua casa a San Benedetto del Tronto, la città che gli ha cambiato la vita professionale. “E infatti, come Bologna, è una piazza per cui ho un amore viscerale. Nel 2006” ci racconta, “mi ero trasferito alla Samb per giocare. Avevo fatto due anni in A, il Bologna era retrocesso ma decisi di andare in prestito in Serie C. O meglio, venni talmente tanto pressato da decidere: per un mese il ds Peppino Pavone mi aveva cercato. Appuntamenti a pranzo, a cena... ma non ero convinto proprio per la categoria. Poi, l’ultimo giorno, avevo deciso di rischiare: non so quanti l’avrebbero fatto. Ma io ho sempre creduto in me stesso, e quella scelta mi ha dato ragione: la squadra era interessante (per esempio in porta c’era un certo Consigli, ndr), siamo stati vicini ai playoff e di fatto sono tornato in Serie A”.
Dove? A Livorno, che quest’anno come la Sambenedettese ha vissuto un anno terribile. “I controlli non sono sempre come dovrebbero e si arriva a questo” dice. “Comunque in amaranto ho vissuto molto bene, anche se siamo retrocessi il primo anno. Quello dopo risalimmo subito, e lì fu Spinelli show”. In che senso? “Sapete, no, com’è il presidente? Passionario. Mi continuava a promettere il rinnovo, diceva che lo avremmo fatto ‘la settimana prossima, belin!’ (e l’imitazione è splendida, ndr). Ma il tempo passava e non succedeva niente. Ero tranquillo, eh, sarei anche rimasto. Ma poi mi aveva chiamato il mio agente, Ciccio Romano: ‘Stiamo trattando la comproprietà con il Torino’. Ero rimasto stranito, e allora, d’istinto, avevo detto di accettare subito”.
Era il 2009, il Toro era appena retrocesso e con Colantuono punta a risalire subito. Direttore sportivo: Foschi, ma non sarebbe durata. Nel mercato invernale, con tante difficoltà, Loviso e Di Michele sarebbero andati al Lecce per volere del nuovo dirigente Petrachi. “È un grande rimpianto, perché speravo di fare di più”, ma gli eventi lo hanno portato altrove. Un allenatore con cui avrebbe potuto lavorare? “Conte a Bari. Mi aveva cercato Perinetti sia nel 2007, sia nel 2008, ma il Livorno non mi volle lasciar partire”.
Parla sempre bene, Loviso. A Torino i giornalisti lo chiamavano “prof”. “E pensare che ho solo il diploma. Con il calcio, lo studio è stato sempre un problema: ma ho sempre avuto voglia di conoscere, penso sia quella la differenza”, sorride. E poi racconta un aneddoto, l’ultimo. “A Bologna, qualche anno fa, ero all’Isokinetic per le terapie precampionato. E chi incontro? Proprio lui, Baggio. Il mio massaggiatore gli dice: ‘Roby, ma te lo ricordi Loviso?’. Io, un po’ emozionato, gli faccio vedere la maglia incorniciata. ‘È un onore’, dice lui a me. Ho fatto quasi fatica a dirgli che in realtà era il contrario”. Non si resta bambini sempre. Ma qualche volta, è bello.