La Cina l’aveva stufato, stizzito, guai a tornarci: “Andavo a dormire alle 6 e mi svegliavo alle 4 del pomeriggio”. Colpa del fuso, ma anche di un carattere un po’ strano, anti regole, uno che al primo allenamento al Werder Brema si presentò con gli scarpini dell’Inter. C’era scritto “Campione d’Europa 2009/10”, anche se non ha mai giocato.
Marko is back
Marko Arnautovic è tornato in Italia dopo 11 anni e ha segnato 14 gol la scorsa stagione, subito all'esordio controllo e destro contro la Salernitana e guizzo dei suoi in Coppa Italia. Ha ribadito che il bad boy è rimasto in Cina, sulla Grande Muraglia, e che c’è spazio solo per progetti seri, comportamenti maturi e tanti gol. Sabatini e Bigon l’hanno inseguito così tanto da convincerlo subito.
“Vieni da noi e fai da chioccia a una banda di giovani talenti”. Marko è stato uno di loro, l’enfant prodige del calcio austriaco che dribblava i suoi stessi compagni. Ribelle con un dono unico.
Ai confini dell'Impero
Il primo tacco si vede a Floridsdorf, ventunesimo distretto di Vienna all’ultima fermata dell’U6, la linea metro più lunga dell’Austria. Scordatevi Schonbrunn e la principessa Sissi, qui l’orizzonte ha il fumo nero delle ciminiere e i volti stanchi di chi tira alla giornata. Uno di questi è papà Arnautovic, immigrato serbo, dà una mano nel ristorante del Floridsdorfer e aiuta la squadra nelle partite in casa. Un giorno porta al campo il figlio: "Finché c’era luce, giocava”. Colpi di genio e bravate, gol e richiami, lui è così.
A 17 anni lascia Vienna e sceglie l’Olanda, Enschede, tre anni a Twente. L’Ajax è un miraggio: "Guardavo dalla finestra e vedevo le vacche, i mulini, le galline". Altri paesaggi. A vent’anni lo prende l’Inter di Mourinho, ma nell’anno del Triplete gioca solo tre partite. Ad Abu Dhabi manca la colazione, resta bloccato in cima al grattacielo e finisce fuori squadra per un paio di ritardi. "Quando torniamo a Milano arrivo al campo 3 ore prima, convinto ci fosse l’allenamento. In realtà no, spostato al pomeriggio, solo che Mou era già lì. 'Tu sei il mio uomo', disse. E mi regalò il suo orologio. Lo conservo ancora”.
Quattro anni a Brema in Bundesliga, altri sei in Inghilterra tra Stoke e West Ham, poi la Cina e tutto ciò che ne consegue. Dopo un paio di mesi di buio ingrana la sesta e parte: 20 gol in 39 partite. Ora sta facendo alla grande, per il Bologna e soprattutto per Mihajlovic, in fondo le origini sono quelle. “Marko è di un’altra categoria, crescerà ancora”.
di Francesco Pietrella