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Il «no» di Mazzone, Giunti e la cena all'Hotel Touring: tutto su Guardiola al Brescia
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Unici, sorprendenti, con un gesto ti lasciano a bocca aperta. Quando Pep Guardiola decide di salutare il Barcellona, da giocatore, sceglie una piccola città italiana come Brescia. Ma ci pensate? Il capitano del Barça, simbolo della Catalunya, che, dopo aver vinto tutto con la squadra del suo cuore, decide di sposare una realtà di provincia. Non solo. Di restarci anche dopo aver saputo di non essere voluto dall’allenatore, un clamoroso paradosso.

Scorre il 2001, l’addio ai blaugrana si consuma ad aprile, dopo quasi 400 partite giocate con la stessa maglia, troppe pressioni, forte l’esigenza di provare un’esperienza diversa. Nel Brescia gioca Baggio, ed è un biglietto da visita che luccica per ogni tentazione, e lavora Mauro Pederzoli, sposato con una ragazza proprio di Barcellona. L’idea Guardiola al Brescia è sua, subito abbracciata con entusiasmo dal responsabile tecnico Nani e dal presidente Corioni. Pederzoli e Nani si imbarcano così per la Spagna, incontrano l’agente Orobitg, illustrano il piano e poi a fine serata la sorpresa: si presenta Pep in persona, nell’ufficio del suo procuratore. Con i suoi modi. Subito curioso, empatico, intrigato a dir poco, affascinato dalla sfida di giocare in un club non di prima fascia.

 

 

«Sapeva tutto di Brescia, ci interrogò sulla città, sull’organizzazione, innamorato dei nostri difetti» il racconto ancora emozionato di chi non pensava fosse possibile riuscirci.

Guardiola aveva bisogno di staccare e staccarsi dalla sua terra, era stato sondato anche dalla Juventus, è vero, ma alla fine non scattò il colpo di fulmine. Immediato invece con i rappresentanti della Leonessa. La missione finisce infatti con una stretta di mano, i dirigenti tornano in Italia e iniziano ad affrontare con l’allenatore questa incredibile possibilità.

 

 

«Non se ne parla nemmeno! Io ho speso la mia parola per convincere Giunti a lasciare il Milan e venire da noi, io non sono disposto a fare una figura di merda. Giunti e Guardiola sono incompatibili, lasciate immediatamente stare.»

Firmato Carlo Mazzone (QUI la sua intervista), il decano dei mister. Testa alta, petto in fuori, orgoglio e lealtà. Lui ha chiamato Federico Giunti, che fa lo stesso ruolo di Pep, e non intende rimangiarsi l’impegno. Per lui, la storia finisce qui. Invece Nani e Corioni ripartono per Barcellona, chiudono l’acquisto dello spagnolo e pensano bene di non avvisare Carletto. È il 27 settembre 2001, Guardiola arriva a Brescia per allenarsi ed essere presentato, l’appuntamento è al pomeriggio. In mattinata, Pederzoli raggiunge Mazzone all’Hotel Touring di Coccaglio e lo ragguaglia.

 

 

«L’abbiamo preso, più tardi è al campo...» Bum bum. La reazione è pirotecnica, tremano i muri. Alla Mazzone, insomma. E con Guardiola che, in tutto questo, non sa nulla di nulla e pensa di essere l’orgoglio di tutti, anche di chi lo guiderà dalla panchina. Al centro sportivo, poi, foto e strette di mano, ma Carletto è gelido, nessuno capisce perché. Si fa sera, serve una scossa per riportare serenità e si organizza una cena, sempre all’Hotel Touring. Mazzone vive e mangia lì, è il suo quartier generale, eppure nessun calciatore aggiunge mai un posto al suo tavolo, questione di rispetto. Carletto vede Pep in lontananza servirsi al buffet e lo chiama con la sua inconfondibile voce romana.

«Aò, Guardiola... vieni qua, va!» E parte subito uno show degno del miglior Mazzone, sempre nel segno della verità. «Te lo dico subito: io non ti volevo. Però non sono né matto né scemo, so chi sei e conosco la tua storia: il ruolo che fai, l’hai inventato tu nel calcio...» Il tono è quello giusto. Guardiola incassa il colpo da fenomeno e ribatte di classe. «Non voglio essere un problema: se lo sono, faccio le valigie e me ne torno a casa!».

Ma non finisce neanche la frase perché capisce che l’omone di fronte è burbero ma buono come il pane, mai si priverebbe di un fuoriclasse come lui. E la sua scenata non è di gelosia, ma protettiva nei confronti di un suo compagno di squadra, quel Giunti che adora e venera proprio Pep Guardiola, il suo idolo. Tutti quindi più amici di prima, la scintilla scocca al secondo bicchiere di vino rosso e alla prima partitella in campo. Guardiola viene presentato al pubblico prima del derby con l’Atalanta, quella sfida pazzesca finita 3-3 in rimonta, con Mazzone che corre indiavolato a festeggiare sotto la curva del nemico.

Un’esultanza sfrenata che adesso, a distanza di tempo, può giustificarsi nelle radici di una settimana davvero turbolenta per l’allenatore furioso. In campo si crea una simbiosi pura e naturale tra le due stelle Baggio e Guardiola, lo stadio Rigamonti diventa un teatro, alla faccia del «che cazzo me l’avete preso a fare...», sfociato quasi in rissa quella mattina di settembre con Corioni e i dirigenti.

Tra Pep e Carletto, il feeling continuerà all’insegna del grande rispetto e dell’a- micizia: otto anni dopo, il 27 maggio 2009, Guardiola infatti lo inviterà nel suo stadio, l’Olimpico di Roma, per la finale di Champions poi vinta contro il Manchester. Guardiola quel giorno diventa ancora più grande, vince la prima Coppa Campioni in panchina e ad applaudirlo, con gli occhioni lucidi, in tribuna, c’è proprio chi si era inizialmente opposto al suo arrivo in Italia.

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