Mark Bresciano è tornato nel mondo del calcio. Infatti l'ex centrocampista è nel cda del Catania di Ross Pelligra - insieme all'ex compagno Vincenzo Grella - che ha rilevato il club siciliano dopo il fallimento e che ha cominciato un nuovo corso. Vi riproponiamo una vecchia intervista rilasciata a grandhotelcalciomercato.com dove l'australiano ci raccontò la sua nuova vita dopo il ritiro da giocatore.
“Ti chiamo domani alle 10 AM”, specifica. E tu aspetti. Perché sai che di parole ne usa pochissime, ma quando decide di fare una cosa, non cambia più idea. Ore 9.55 del mattino italiane, il telefono squilla. Pure cinque minuti di anticipo: una serietà che lascia quasi a occhi aperti. Come una statua.
“Vi è rimasta impressa quell’esultanza, eh?”. A Melbourne sono le 18 (anzi, le 17.55) quando Mark Bresciano fa partire la telefonata. Non concede tante interviste: lascia parlare le statistiche e i filmati di quello che faceva in campo tra club e Nazionale. È un simbolo del calcio australiano, e l’immagine di quello italiano dove non devi per forza essere una stella per emergere. Basta tanta concretezza.
Bresciano e l'esultanza con la statua: "Ecco perché"
52 gol in 11 anni di Italia, da mezzala, appunto. E quell’esultanza indimenticabile. “Me l’hanno chiesto in tanti, non l’ho mai raccontata. A dirla tutta, non ricordo nemmeno la partita e i personaggi coinvolti. Ma la motivazione sì” ci spiega ridendo, in italiano perfetto. Forse un po’ mente, forse no: “Ero arrabbiato con un allenatore, ma non so quale. Non avevo accettato la panchina, lui poi mi aveva fatto entrare e avevo segnato il gol decisivo. Quel gesto era rivolto a lui, come a dirgli: Ma come fai a lasciarmi in panchina?”.
La storia dice che probabilmente si tratta di Empoli-Parma giocata nel gennaio 2006, con Mark che, entrato verso la fine, aveva segnato il 2-1 decisivo per gli emiliani proprio contro la sua ex squadra. In panchina c’era Beretta, ma Bresciano questo non lo dice. Sta di fatto che quella statua “Era piaciuta a tutti, per cui ho deciso di riproporla anche in Nazionale. E a volte, quando mi riconoscono, me la fanno anche per strada. Qui, come in Italia. Mi fa molto ridere questa cosa”.
Bresciano-Grella: "Sempre insieme"
Già, l’Italia. Passaporto australiano, cadenza inglese (anche se vole per vuole lo dice sempre), ma le origini sono chiare. Un po’ come Grella. “Siamo fratelli: resterò legato a lui per sempre. Ci siamo conosciuti a sedici anni, abbiamo convissuto e avuto la fortuna di giocare nelle stesse squadre, oltre alle Olimpiadi, i Mondiali… Ci sarò sempre per lui e lui per me”, dice. E in effetti, di tappe insieme ne hanno percorse tante.
“Quando sono arrivato a Empoli, lui era già lì da un anno”. Ma la storia è molto simile alla sua (qui la nostra intervista con retroscena): “Berti, che era pure il suo agente, aveva organizzato per me un provino in Toscana. L’ho superato e mi hanno fatto firmare subito: così, a partire da quell’estate (il ‘99, ndr) mi sono trasferito. In realtà mi voleva anche il Torino, ma preferii Empoli perché le pressioni erano diverse e avrei potuto giocare di più. Guardando indietro, penso di aver fatto bene. E poi era la mia prima volta fuori dall’Australia, ero entusiasta”.
Dopo Empoli, Parma. Di nuovo con Grella. Poi Palermo e Lazio. C’è un posto in cui si è trovato male? “No, e lo dico davvero. Forse in Toscana mi sono divertito di più, perché eravamo una squadra più giovane e ambiziosa”. E lì di sasso restiamo noi. “La prima esperienza non si scorda mai”, sorride. “Ma in generale, tutti i club mi hanno dato molto: a Parma ho vissuto quattro anni bellissimi, a Palermo ho legato molto con il pubblico e la società. E poi sono andato anche nella Capitale: il mio dispiacere è quello di esserci stato solo un anno, perché il club stava crescendo molto. Non posso che parlarne bene”.
Bresciano e la trattativa sfumata con il Manchester City
Ha giocato in Europa League, ha sfiorato la Champions. “Sì, è vero. Quando ero a Parma e Palermo, mi avevano cercato l’Inter e la Juventus”. Ma il grande rammarico è un altro: “La Premier. Mi aveva cercato il West Ham, ma soprattutto sono stato vicinissimo al Manchester City”. Estate 2007, dopo il primo esaltante anno a Palermo, i Citizens avevano presentato un’offerta importante.
“La mia testa era già lì: stavo cominciando a cercare casa, avevo dato l’ok su tutto e sapevo che anche le società erano molto vicine. Poi però all’ultimo Zamparini aveva deciso di non farmi partire. Per me è stata una delusione enorme, penso sia stato il momento più brutto della mia carriera”. Che però ha saputo superare con altri tre grandi anni in Sicilia: ci vuole una bella testa per saper guardare oltre.
Cosa fa oggi Mark Bresciano: costruttore e... cannabis
Non a caso, di Bresciano ora si parla come di un imprenditore di successo. E visionario: “Di base sono un costruttore qui a Melbourne: edifico e poi rivendo o affitto. E poi mi sono specializzato nel settore della cannabis”. La notizia era circolata un anno fa e aveva fatto il giro del mondo. “Bisogna uscire dalla questione culturale: so che in Europa il dibattito è molto acceso, lo è stato anche qui in Australia. Fino a tre anni fa, era vietata la coltivazione. Non so quanto tempo ci vorrà ancora, ma prima o poi si capirà davvero l’importanza in campo medico. Si pensa ancora che sia una droga, che venga fumata per generare effetti psicotropi. Ma non è così”.
Il ruolo di Bresciano nel calcio
E il calcio? “Non ho mai voluto fare l’allenatore, ho sempre escluso l’ipotesi anche quando giocavo. Ma le partite continuo a vederle. Adesso sono nel board della Federazione australiana: siamo in sette, ci occupiamo della parte finanziaria del campionato, delle strutture, di come far crescere il settore giovanile. In Australia il calcio femminile è in grande espansione ed è ad alti livelli, quello maschile un po’ meno, anche perché non è lo sport principale. Ci giocano tantissimo i bambini, ma poi si scelgono altri settori: il Football australiano, il rugby, il cricket… Chi vuole fare carriera nel calcio, deve andare all’estero. Il sogno di un giocatore australiano non è quello di restare qui”.
Potresti ascoltarlo per ore, Bresciano. Non fosse per la sua incredibile concisione. È l’antidivo per eccellenza: niente social, niente Whatsapp se non con un telefono secondario che non guarda mai. Fino a pochi anni fa, usava ancora un Blackberry. Conta quello che si fa: resta tutto impresso, non cambia mai. Soprattutto se è bello. Come una statua.