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Valentino
Della Casa

"Ho giocato con Ronaldo, ora sono allevatore": le mille avventure di Peralta
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Hai vent’anni, sei in Argentina e ti arriva una chiamata: “Ti vuole l’Inter”. Shock. Bellissimo shock.  Poi, se non la conosci, dai un’occhiata alla lista: è piena di Sudamericani. “Ti aspettano Zanetti, Recoba, Cordoba, Zamorano”. E Ronaldo… Hai già fatto la borsa, stai per partire. Sixto Peralta, di professione trequartista, quella chiamata se la ricorda ancora: dal Racing all’Inter, come Lautaro. A casa sua lo chiamano tutti “Mumo” (Raimundo è il suo secondo nome): il suo è stato un salto nel vuoto. In Italia non è andata bene come sperava. “Ma non posso dire non ne sia valsa la pena”.

2000: l’arrivo e Marcello Lippi

Quando arrivai” ci racconta, “Sapevo bene che non avrei avuto tanto spazio. Conobbi Lippi, poi subentrò Tardelli”. Breve ripasso: in estate, i nerazzurri escono dalla Champions sconfitti nei preliminari dall’Helsinborg; poi perdono la Supercoppa contro la Lazio e quindi non cominciano bene in campionato. Lippi si sfoga in conferenza stampa, apre la crisi e viene esonerato. “La squadra mi aveva accolto benissimo. Ricordo che Javier (Zanetti, ndr) mi disse che avrei potuto chiedergli qualsiasi cosa e ci sarebbe stato. Non aveva ancora figli ma era già paterno: per me è stato davvero speciale e gliene sarò sempre grato”.

 

 

“Ho esordito proprio in Supercoppa, poi ho giocato anche due tempi in Coppa Italia e in Coppa Uefa. Tre partite in totale, ma ero ancora acerbo”. Ed è così che viene prestato al Torino in Serie B, quando il campionato è già cominciato. Ai tempi, il mercato consente una parentesi anche a ottobre: De Ascentiis, Delli Carri e proprio Peralta sono state le ultime operazioni del Toro che ha cambiato proprietà e punta alla Serie A con Gigi Simoni allenatore.

 

Un anno strano. Dal punto di vista personale, pessimo. Serviva gente esperta a quella squadra per cercare la promozione. Con Camolese (subentrato a Simoni, ndr) cominciammo a fare tantissimi punti e riuscimmo a vincere il campionato. La festa fu bellissima, me la ricordo ancora: mi sentivo comunque coinvolto e i tifosi, nonostante le mie sole 4 presenze, mi riconoscevano sempre. Ma purtroppo è andata meno bene di quello che pensavo”.

 

Insomma, l’Italia lo forma, ma non lo esalta. Impara il sapore amaro delle panchine e delle esclusioni. “Nell’estate 2001, l’Inter mi prestò all’Ipswich in Premier. Fu tutta un’altra storia”. 22 presenze e 3 gol: “Avevano capito come mettermi in campo e come valorizzarmi: mi sono divertito tantissimo”. Ma poi? Il richiamo di casa è stato più forte. Riecco il Racing: l’Inter lo cede, lui ricomincia da dove è partito. È la sua seconda volta lì: in carriera ci andrà anche una terza. “È un club a cui devo moltissimo. Come all’Huracan. Mi ha aperto le porte della carriera, ha dei tifosi che mi ricordano tantissimo proprio quelli del Torino: caldi, passionali. È stata un’avventura anche il ritorno, perché non mi aspettavo potesse avvenire”. Dopo un anno di Racing, si trasferisce al Santos Laguna in Messico; quindi al Tigre. Poi, torna al Racing, dove fa ancora molto, tanto da passare al River (stagione 2007/2008).

 

Cosa succede? Nuova esperienza, ma qualcosa va storto. Pochissime partite, non si impone: giocare nei Millonarios ha un fascino tutto suo, è sempre una sfida. “Non l’ho persa, anche se non è andata come volevo”. E quando la sua carriera sembra destinata a restare in Sud America, arriva di nuovo la chiamata dall’Europa. “Il Cluj era una bella opportunità. Diversa. Perché non sfruttarla?”. Di nuovo bagagli fatti e una partenza verso la Romania. Ci resta per 4 anni, vincendo tre scudetti, tre coppe di Romania e due Supercoppe. In una stagione (2009/2010), lo allena anche l’italianissimo Mandorlini. “Abbiamo fatto la storia del club. Quegli anni mi mancano molto. Se devo pensare a una squadra al di fuori dell’Argentina, c’è proprio il Cluj”. Che saluta per tentare una nuova esperienza in Cile (Universidad Catolica e Universidad de Conception), prima di  smettere nel 2015, a 36 anni. 

La nuova vita

Ora sono diventato imprenditore. Vendo carne che allevo in Patagonia, ho anche giocato a basket e ho una scuola calcio per bambini di 4-5 anni. Come dite in Italia? Il lupo perde il pelo ma non il vizio, giusto? Devo dire che nella mia vita professionale non mi sono per niente annoiato: ho conosciuto tanti mondi diversi, tante persone con cui ho ancora un rapporto. A un giovane giocatore argentino direi di approfittare subito della chiamata dall’Europa. È un cammino difficile, pieno di difficoltà, di giorni felici ma anche tremendi. Se vive con l’ansia di fare male, non potrà godersi i tanti momenti belli che potrà incontrare. Bisogna buttarsi, avere coraggio”. Sixto l’ha fatto. In Italia non è stato come Lautaro (e quel retroscena proprio sul Torino...). Ma ne è valsa la pena lo stesso.

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