Ci incontriamo per un caffè a Milano, in prossimità dei grattacieli di City Life. E lì Nico Spolli ci apre le porte del suo cuore. Un viaggio incredibile il suo: dall'Argentina all'Italia, da Rosario a Catania, che è diventata casa sua. Fino a qualche anno fa era un difensore roccioso, un perno di quei rossazzurri che in Serie A mettevano in fila stagioni da record. Oggi, invece, collabora con un'agenzia di procura e va a caccia di talenti: "Mi piace molto girare per i campi e guardare le partite".
Dalla A alla C, con un occhio sempre rivolto al campionato argentino: "Volete sapere chi sarà il prossimo crack? Gino Infantino, 2003 del Rosario Central". Brevilineo, tutto estro e tecnica: "Può fare la punta, l'esterno a piede invertito, il trequartista...". Completo, e decisivo: "Ha già fatto tre gol e tre assist in prima squadra".
Il Catania degli argentini
Parola di uno che di attaccanti argentini ne ha conosciuti un bel po', e con alcuni mantiene ancora oggi un rapporto splendido: "Al Catania si parlava quasi più in spagnolo che in italiano. Davanti avevamo Bergessio, con Papu Gomez e Pitu Barrientos sulle fasce. Di quella squadra ho un ricordo bellissimo: abbiamo fatto delle annate incredibili. Non era una squadra a lottare contro tutti, ma una città intera. A cui sono rimasto legatissimo".
"Ancora oggi abbiamo un gruppo Whatsapp che si chiama 'Catania dei record'. Vincevamo grazie alla fame e alla nostra unione, ma anche grazie alle qualità dei singoli". Si pensi ad esempio al Papu, che oggi è titolare in Champions con il Siviglia: "E' un trascinatore, ha fatto delle cose incredibili". Ora cardine della nazionale, un tempo... 'animatore' delle feste del Catania: "Avevamo anche fondato la band musicale dei 'Papu y Los Vulcanos': noi suonavamo e Gomez cantava".
Simeone e le riunioni in spagnolo
Ricordi indelebili di quel gruppo in cui "erano gli italiani ad inserirsi negli argentini. Ci fu una partita, in Coppa Italia, contro la Juve, che giocammo in 10 argentini, con Capuano unico italiano. E in panchina c'era Simeone". A proposito del Cholo: "A volte iniziava le riunioni tecniche in italiano, poi cambiava lingua e si metteva a parlare in spagnolo, quindi si rendeva conto e tornava a parlare in italiano". E tutti giù a ridere.
Ma il Cholo restava serio: "Era deciso e determinato, si vedeva che aveva fame e idee. Però non era il Simeone di adesso a livello tattico. E' arrivato a dicembre, in un momento in cui giocavamo 4-4-2 con Giampaolo, ed è passato al 4-2-3-1, o al 4-3-3. La sua filosofia di gioco mi ha formato: mi identifico tanto con il suo pensiero. Capisco che il calcio sia uno spettacolo, ma la cosa che importa è vincere. Poco fumo e tanto arrosto. Non mi piacciono gli allenatori troppo offensivi, che vengono spesso definiti 'moderni'. Penso che 'moderno' sia chi vince. Se oggi io vinco grazie ad un calcio equilibrato, ritengo di non essere antico".
Roma e il rapporto con Astori
Dopo sei anni al Catania (e la potenziale proposta della vita declinata per amore della squadra), Spolli ha scelto la Roma per ripartire: "Mi hanno chiamato per completare il reparto, visto che erano impegnati in tre competizioni. Solo che in una sola settimana siamo usciti dall'Europa League e dalla Coppa Italia: è rimasto solo il campionato e non ho mai visto il campo. Ma è stata una bellissima esperienza e sono cresciuto tanto".
Una sola presenza in giallorosso, chiuso da... Davide Astori: "Non sono retorico: Davide era una persona incredibile oltre che un giocatore fantastico. Abbiamo legato tantissimo: capitava di andare in stanza assieme in ritiro. Mi ricordo che veniva sempre a prendermi con la sua macchina. E dopo che sono andato via da Roma l'ho comprata anche io, uguale. Mi piace tanto e mi rimanda al ricordo di un amico splendido, tanto è vero che la conservo ancora oggi in garage a Catania".
Il ritiro e un mantra
Dopo la Roma, chiama il Carpi: "Sono successe diverse cose a livello societario, un club che non sapeva cosa voleva fare. Mi avevano messo fuori rosa e ho pensato anche di smettere". Riflessioni profonde, ma nel cuore ancora il sentimento di poter dare tanto: "La telefonata di Maran, che mi voleva al Chievo mi ha fatto tornare gli stimoli. Ero sempre titolare e ho trovato una città e un ambiente bellissimo". Poi il Genoa, prima con Juric, poi con Ballardini. E infine il Crotone, con cui Spolli ha giocato le sue ultime 19 partite prima di appendere gli scarpini al chiodo: "Mi ha chiamato il presidente Vrenna, dicendomi che doveva liberare un posto in squadra. Con lui ho un bellissimo rapporto, e ho subito accettato di rescindere. Non me la sentivo più di giocare".
Fine dei giochi sul campo, inizio di una nuova vita, tra le stanze di albergo e le tribune da stadio. Ricordando un mantra, che Spolli ha tatuato sulla gamba: "lo que el árbol tiene de florido vive de lo que tiene sepultado", "quel che l'albero ha di fiorito vive di ciò che ha sepolto". Ovvero: i fiori vivono grazie alle radici. Il successo grazie al sacrificio.