Tre trapianti al rene ma la forza di non mollare. Klasnic: “Potevo venire alla Juve o al Toro”

Tre trapianti al rene ma la forza di non mollare. Klasnic: “Potevo venire alla Juve o al Toro”

Quando lo contatti, tiene il profilo basso: “Ma in Italia, chi mi conosce?”. “Beh, Ivan: hai vinto una Bundesliga, una Coppa di Germania, una Coppa di Lega tedesca”. E poi, diciamolo: negli anni duemila, il nome di Klasnic non era proprio di quelli sconosciuti. Ha subìto tre trapianti di reni, ma non ha mai smesso di lottare. “Potevamo anche vederci in Italia: mi hanno cercato la Juventus e il Torino”. Una bella storia di calcio, di calciomercato e di vita. Comincia a parlare.

 


 

Sono nato in Germania, ma il mio cuore è sempre stato croato”, tiene a precisare subito. D’altra parte, le idee chiare le ha sempre avute, lo vedremo. Da subito si capiva che il talento non gli mancasse: era un attaccante di quelli che adesso farebbero gola a tanti. Buon fisico, buona tecnica. E qualche annata con davvero tanti gol con la maglia del Werder Brema, dove ha giocato per 6 stagioni, dal 2001 fino al 2008: “Ho vinto tanto, è stato esaltante. In quegli anni è successo davvero di tutto”.

La chiamata della Juventus…

Partiamo dal calciomercato: “Nell’estate del 2005 potevo andare alla Juventus”, ci racconta. “Era quella di Nedved, Emerson, Trezeguet. Ho ricevuto un’offerta, ma mi ha bloccato il passaporto: avevo solo quello croato e non mi era possibile riuscire a fare anche quello tedesco. È stato un errore? Non lo so. La scelta di restare a Brema è stata mia”.

… e quella del Torino

Torino sfiorata una volta; ma poi di nuovo accarezzata. “Non per la Juve, ma per il Toro. Era l’estate 2008” quando il contratto con il Werder era appena scaduto. “Ero anche venuto in città, avevo parlato a lungo con il presidente Cairo”. Chissà come sarebbe stata una carriera in Italia: “Difficile dirlo. Alla fine sono andato in Ligue 1 al Nantes”.

Il video racconta di momenti in un anno non strepitoso, “ma i primi mesi di certo sono stati belli. Mia figlia parla anche francese grazie a questa esperienza, non è andata male”. La voce di Ivan è squillante, allegra. Di uno che cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno, anche quando all’orizzonte si affacciano problemi enormi.

I trapianti

Autunno 2006, la stagione appena cominciata non è delle migliori. I medici del Werder lo chiamano: infezione renale, servirà un trapianto. Shock. La prima operazione vede un rigetto dopo pochi mesi; ne segue una seconda; quindi una terza, ma dopo quasi dieci anni e a carriera già finita. “Ho avuto un rene di mio padre, poi quello di mia mamma, e anche quello di un terzo donatore che non ho mai conosciuto. Mi dicevano che non avrei potuto continuare a giocare, penso di essere stato l’unico nel mondo averci provato e a esserci pure riuscito. Mi sono sempre detto: ‘Ivan, stai combattendo una guerra’. L’ho vinta. Paura? No, non ne ho avuta. È stato importante per me pensare di avere un obiettivo, che era quello di tornare in campo”.

La Premier

Dopo il Werder, il Nantes, quindi anche la Premier. Temperamento ne ha avuto parecchio. “Al Bolton ho giocato tre anni. Massimo rispetto per la Bundes, sempre; ma la Premier è la Premier. È davvero il campionato più forte del mondo”.

 


È nato ad Amburgo, ma le origini sono croate: “Non ho avuto dubbi su quale Nazionale scegliere (41 presenze e 12 gol in 8 anni, ndr), e non ho dubbi sul valore dei giocatori che ci sono adesso. Petkovic e Orsic? In Italia non è andata benissimo, ma se non fossero stati bravi non ci sarebbero nemmeno mai arrivati. Pensate a quello che stanno facendo tutti gli altri nella vostra Serie A, c’è un collegamento molto forte”.

Vita da agente

Magari, in futuro, in Italia qualcuno lo porterà, potrebbe essere la chiusura di un suo percorso: “Ora lavoro come agente. Allenatore? No, mi piace lavorare con i giovani ma non voglio avere quelle responsabilità. Preferisco far crescere i nuovi giocatori in un altro modo e sono davvero felice di far parte di tutto questo”.

 


Non fa in tempo a finire. “Ti ringrazio per avermi dato la possibilità di parlare”. In Italia forse non lo conoscono bene. Avrebbero potuto. E conoscerlo è uno spettacolo.