L’arte del pragmatismo. A lezione da Kevin De Bruyne

L’arte del pragmatismo. A lezione da Kevin De Bruyne

Ragione e razionalità. Coordinate e parallele del mondo di Kevin De Bruyne. Il cervello come bussola. L’intelligenza come stella polare. Una assidua e pervicace ricerca della perfezione. Un destino da scrivere. Un destino di cui essere artefice e padrone. Un modo d’essere e di pensare che si rispecchia nel suo concepire e vedere il calcio. Incidere nella e sulla realtà. Sfumature machiavelliane dipinte in un campo di calcio. Dal combinato disposto delle scelte e della visionaria ragione è nata la sua arte. L’arte del pragmatismo. Insegna Kevin De Bruyne. 

  

 

 “Perché sei quello che sei”

Questione di scelte. Fin dall’inizio. La storia di Kevin De Bruyne parte dalla sua terra, il Belgio. Dopo alcuni anni al Gent, la scelta di trasferirsi al Genk. Già, trasferirsi. A 14 anni lascia casa e famiglia. La testa è proiettata al futuro. Il Genk il passaggio necessario per raggiungere il suo obiettivo. Un settore giovanile importante, come dimostrano i vari talenti che ci sono cresciuti. Courtois, Koulibaly, Bailey, Ndidi, Milinkovic-Savic, Carrasco, Origi, Benteke, per citarne alcune. Ma torniamo a quel ragazzo. Silenzioso, introverso. A tratti difficile da comprendere. Una sorte comune agli intellettuali. Caratteristiche che segnano la sua vita. Dopo la prima stagione De Bruyne torna a casa per le vacanze. Ad accoglierlo la madre in lacrime: “Pensai che fosse morto qualcuno. In quel momento mi disse le parole che cambiarono la mia vita: “Non vogliono che torni, la famiglia d’accoglienza non ti vuole più“. Il motivo? “Perché sei quello che sei”.

 


Le difficoltà con Mourinho e la rinascita in Germania 

Momenti che segnano un’intera esistenza. Frammenti che cambiano il destino. Il dolore si trasforma in voglia di rivalsa. De Bruyne la stagione successiva passa in prima squadra. Ne diventa la stella. Attira su di sé le attenzioni. Arriva la chiamata dal Chelsea. Si parte, direzione Londra. 8 i milioni sborsati dai Blues. Il prestito al Werder Brema. I primi lampi di genio. Il ritorno al Chelsea. La chiamata del Borussia Dortmund di Klopp. Mourinho lo ferma: “Rimani a Londra.

 


 

Con lo Special One, però, non andrà bene. Poche partite. Tante panchine. Un rapporto difficile, fatto di incomprensioni e un amore mai nato. “Ho parlato con Mourinho soltanto due volte. E non ho avuto nemmeno una spiegazione. Poi mi chiamò nel suo ufficio a dicembre. Mi disse: ‘Un assist, zero goal, dieci palloni recuperati’. Non capivo. Poi ha citato gli altri attaccanti. Willian, Oscar, Mata, Schürrle: erano le mie statistiche confrontate alle loro. Ma loro avevano giocato di più. Mi disse: ‘Se Mata parte allora diventerai la quinta scelta invece che la sesta’. Chiesi la cessione”, rivelò il belga a “The Players’ Tribune”. A gennaio la cessione per 22 milioni al Wolfsburg. In Germania si afferma come uno dei migliori giocatori del panorama europeo. Nella seconda stagione viene premiato come miglior giocatore della Bundesliga. Poi torna. Torna la Premier. 

 

KDB e Guardiola: l’espressione del genio 

L’Inghilterra era nel suo destino. La passione per Owen e il Liverpool. Lo stage da bambino all’Arsenal. La prima esperienza al Chelsea. Il luogo della consacrazione, il Manchester City.  “Sarei potuto andare al Bayern o al Psg ma alla fine ho accettato il City. Questo perché ho sempre pensato che il suo sistema di gioco fosse il più appropriato per le mie caratteristiche“, svelò il centrocampista in una intervista alla BBC. Un anno di assestamento. Poi l’incontro che cambierà la sua carriera. Genio e razionalità. Due menti. Uno stesso universo. De Bruyne incontra Guardiola

 


 

Messi è seduto a un tavolo da solo, ma al tavolo accanto, Kevin trova posto”. Parola di Pep. Con l’allenatore spagnolo De Bruyne raggiunge la massima esaltazione ed estrinsecazione del suo gioco e del suo pensiero. I due si assomigliano. Lo stesso il tipo di intelligenza. La stessa la visione della realtà. Dirigere il gioco. Determinare i momenti. Prevedere gli esiti. Regolare il tempo e comandare lo spazio. La ricerca ossessiva della perfezione. Il belga diviene dominante. Il suo essere in campo è espressione del controllo razionale. Del proprio corpo. Delle proprie scelte. Di ciò che lo circonda. Una delle forme più alte e pure della modernità di questo sport. Una razionale consapevolezza. L’arte del pragmatismo.

 

Unico, anche fuori dal campo

Determinare il proprio destino. Le scelte come filo rosso di una carriera. Chi è KDB lo si capisce anche dai suoi comportanti fuori dal campo. Nel rinnovo del contratto, per esempio. Nessuna decisione lasciata in mano ad agenti o polemiche. Nessun procuratore a mediare. La decisione di negoziare da solo, avvalendosi di un team di data analyst che studiasse il suo impatto sulla squadra e le potenzialità future del club. Dati, numeri, statistiche. Tutto perfettamente coerente con la fredda e razionale mente di KDB.