È arrivato nel caos generale e si è preso il Milan. Dominatore silenzioso. Sempre a modo, mai un’uscita fuori posto. Un calcio bello ed efficace. E soprattutto la capacità di tirare fuori il meglio da tutti i giocatori: il Milan, con Stefano Pioli in panchina, è rinato. E oggi l’allenatore si è legato al club rossonero fino al 2023, rinnovando l’impegno. Con in testa il sogno del diciannovesimo scudetto.
Ne ha passate tante Pioli in questi due anni di Milan, sin dal primo giorno. Riavvolgiamo il nastro: esonerato Giampaolo, i tifosi erano in rivolta per la scelta di puntare su Pioli, che solo poche volte aveva saputo entusiasmare in alta classifica. Tanto che, su Twitter, era partita subito la contestazione con l’hashtag #PioliOut. Ancora prima che firmasse. Assurdo? Abbastanza. Ma il comandante rossonero ha saputo mettere a tacere tutti.
Un inizio non scoppiettante, poi il ritorno di Zlatan Ibrahimovic e l’avvento del Covid. Tempo per riflettere su schemi e armonia di gruppo. Pioli pensa, chiama. Con la mente pensa solo al Milan e sa che, alle sue spalle, c’è un’ombra forte, quella di Ralf Rangnick: il fondo Eliott sembra intenzionato ad affidare pieni poteri al manager tedesco, come allenatore e come dirigente. Pioli teme di salutare e dà il massimo: al ritorno in campo, questo lavoro si vede. I rossoneri iniziano a macinare punti e ottengono il sesto posto. Il comandante silenzioso resta sulla panchina e il fantasma Ralf è scacciato.
Sarà questo l’inizio della stagione del secondo posto, con annesso ritorno in Champions. Ma questa è storia conosciuta e recente. Una storia che parla di valorizzazione di giovani (Brahim, Tomori, Leao, Theo, Tonali e tanti altri) e di un gruppo capace di sopperire ad assenze, infortuni e addii. Ma questo racconto non può finire sul più bello: con questo prolungamento, c’è un’altra storia, tutta da scrivere.
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