Hai vent’anni, sei in Argentina e ti arriva una chiamata: “Ti vuole l’Inter”. Shock. Bellissimo shock. Poi, se non la conosci, dai un’occhiata alla lista: è piena di Sudamericani. “Ti aspettano Zanetti, Recoba, Cordoba, Zamorano”. E Ronaldo… Hai già fatto la borsa, stai per partire. Sixto Peralta, di professione trequartista, quella chiamata se la ricorda ancora: dal Racing all’Inter, come Lautaro. A casa sua lo chiamano tutti “Mumo” (Raimundo è il suo secondo nome): il suo è stato un salto nel vuoto. In Italia non è andata bene come sperava. “Ma non posso dire non ne sia valsa la pena”.
“Quando arrivai” ci racconta, “Sapevo bene che non avrei avuto tanto spazio. Conobbi Lippi, poi subentrò Tardelli”. Breve ripasso: in estate, i nerazzurri escono dalla Champions sconfitti nei preliminari dall’Helsinborg; poi perdono la Supercoppa contro la Lazio e quindi non cominciano bene in campionato. Lippi si sfoga in conferenza stampa, apre la crisi e viene esonerato. “La squadra mi aveva accolto benissimo. Ricordo che Javier (Zanetti, ndr) mi disse che avrei potuto chiedergli qualsiasi cosa e ci sarebbe stato. Non aveva ancora figli ma era già paterno: per me è stato davvero speciale e gliene sarò sempre grato”.
“Ho esordito proprio in Supercoppa, poi ho giocato anche due tempi in Coppa Italia e in Coppa Uefa. Tre partite in totale, ma ero ancora acerbo”. Ed è così che viene prestato al Torino in Serie B, quando il campionato è già cominciato. Ai tempi, il mercato consente una parentesi anche a ottobre: De Ascentiis, Delli Carri e proprio Peralta sono state le ultime operazioni del Toro che ha cambiato proprietà e punta alla Serie A con Gigi Simoni allenatore.
“Un anno strano. Dal punto di vista personale, pessimo. Serviva gente esperta a quella squadra per cercare la promozione. Con Camolese (subentrato a Simoni, ndr) cominciammo a fare tantissimi punti e riuscimmo a vincere il campionato. La festa fu bellissima, me la ricordo ancora: mi sentivo comunque coinvolto e i tifosi, nonostante le mie sole 4 presenze, mi riconoscevano sempre. Ma purtroppo è andata meno bene di quello che pensavo”.
Insomma, l’Italia lo forma, ma non lo esalta. Impara il sapore amaro delle panchine e delle esclusioni. “Nell’estate 2001, l’Inter mi prestò all’Ipswich in Premier. Fu tutta un’altra storia”. 22 presenze e 3 gol: “Avevano capito come mettermi in campo e come valorizzarmi: mi sono divertito tantissimo”. Ma poi? Il richiamo di casa è stato più forte. Riecco il Racing: l’Inter lo cede, lui ricomincia da dove è partito. È la sua seconda volta lì: in carriera ci andrà anche una terza. “È un club a cui devo moltissimo. Come all’Huracan. Mi ha aperto le porte della carriera, ha dei tifosi che mi ricordano tantissimo proprio quelli del Torino: caldi, passionali. È stata un’avventura anche il ritorno, perché non mi aspettavo potesse avvenire”. Dopo un anno di Racing, si trasferisce al Santos Laguna in Messico; quindi al Tigre. Poi, torna al Racing, dove fa ancora molto, tanto da passare al River (stagione 2007/2008).
Cosa succede? Nuova esperienza, ma qualcosa va storto. Pochissime partite, non si impone: giocare nei Millonarios ha un fascino tutto suo, è sempre una sfida. “Non l’ho persa, anche se non è andata come volevo”. E quando la sua carriera sembra destinata a restare in Sud America, arriva di nuovo la chiamata dall’Europa. “Il Cluj era una bella opportunità. Diversa. Perché non sfruttarla?”. Di nuovo bagagli fatti e una partenza verso la Romania. Ci resta per 4 anni, vincendo tre scudetti, tre coppe di Romania e due Supercoppe. In una stagione (2009/2010), lo allena anche l’italianissimo Mandorlini. “Abbiamo fatto la storia del club. Quegli anni mi mancano molto. Se devo pensare a una squadra al di fuori dell’Argentina, c’è proprio il Cluj”. Che saluta per tentare una nuova esperienza in Cile (Universidad Catolica e Universidad de Conception), prima di smettere nel 2015, a 36 anni.
“Ora sono diventato imprenditore. Vendo carne che allevo in Patagonia, ho anche giocato a basket e ho una scuola calcio per bambini di 4-5 anni. Come dite in Italia? Il lupo perde il pelo ma non il vizio, giusto? Devo dire che nella mia vita professionale non mi sono per niente annoiato: ho conosciuto tanti mondi diversi, tante persone con cui ho ancora un rapporto. A un giovane giocatore argentino direi di approfittare subito della chiamata dall’Europa. È un cammino difficile, pieno di difficoltà, di giorni felici ma anche tremendi. Se vive con l’ansia di fare male, non potrà godersi i tanti momenti belli che potrà incontrare. Bisogna buttarsi, avere coraggio”. Sixto l’ha fatto. In Italia non è stato come Lautaro (e quel retroscena proprio sul Torino…). Ma ne è valsa la pena lo stesso.
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