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Dai canali di Venezia al nerazzurro di Milano: la traiettoria del mancino di Recoba

Gli amori nella vita possono essere diversi. Ci sono quelli fugaci. Quelli lunghi e razionali. E poi ci sono loro, quelli veri e passionali. Quelli che ti rapiscono per sempre. Ed è il caso dell’amore che Massimo Moratti ha provato per un suo giocatore. Zanetti, Ronaldo, Ibrahimovic, Milito? No. È uruguaiano. È il Chino Recoba: “Il giocatore che ho amato di più. È stato il calcio”. Un sentimento così profondo da farlo diventare addirittura tra il 2001 e il 2003 il giocatore più pagato al mondo.

Estro e qualità, Recoba un dolce supplizio per gli amanti di questo sport. Colui che, con il suo mancino, ha camminato tra quello che è stato e quello che sarebbe potuto essere. Realtà e leggenda. Sfuggito ai confini del conforme doverismo, nella sua insofferenza alle regole, tipica di chi, come lui, si muove in un terreno fatto di sogno misto a pazzia. Dai canali della Laguna alla Madonnina di Milano. Venezia-Inter è anche la sua partita. La partita del Chino.

 


Dall’Uruguay a Milano, passando per la chiamata di Marotta

Uruguay, torneo nazionale. Il giovane Alvaro, dopo aver trascinato i suoi in fondo al torneo, si scorda della finale e va a pescare. Lo recuperarono tra primo e secondo tempo. Segna cinque gol. A seguirlo c’è Rafa Perrone, che lo porta nel prestigioso settore giovanile del Danubio. Arriva in prima squadra. Poi un anno Nacional Montevideo e, infine, l’Italia nel 1997.

Non un’estate qualunque per la Milano nerazzurra. È l’estate del Fenomeno. È l’estate di Ronaldo. Ma è anche l’estate in cui Moratti si innamora di quel ragazzo uruguaiano visto in alcune VHS: “Prendiamolo subito“. Colpo di fulmine che diventa pura passione nel giorno dell’esordio. È il 31 agosto. Il pubblico di San Siro accoglie Ronaldo, ma a deciderla, con una doppietta, è l’altro nuovo arrivato. Un mancino che illumina il Meazza.

Nel gennaio ‘99 va in prestito al Venezia, ultimo in classifica. Zamparini come Presidente, Marotta il Direttore Generale e Novellino in panchina. Un trasferimento che si concretizzò grazie all’intervento decisivo di… Ariedo Braida. Sì, un milanista che orchestra un affare di mercato di un giocatore dell’Inter: “Dani, devi farmi questa cortesia, vai a Venezia, dagli Recoba“. La richiesta è a Daniel Delgado, procuratore di Recoba e, inizialmente, restio alla conclusione della trattativa. L’intervento dell’amico Braida è fondamentale e Marotta porta il giovane uruguaiano da Novellino. E in sei mesi quel ragazzo salva il Venezia. “Come Maradona” titolerà il Corriere della Sera dopo la sua memorabile tripletta alla Fiorentina di Trapattoni e Batistuta. E se Baggio e Mihajlovic si sono sempre allenati sulle punizioni, “Recoba no, era talmente conscio del suo potenziale che forse non gli serviva“, raccontò Maniero.

 


 

Gli anni nerazzurri del pupillo di Moratti

Tra il rimpianto per ciò che poteva essere e il sorriso per ciò che era stato. Il Chino era fatto così. Era genio. Peccava di a-normalità. Si accendeva a intermittenza, capace di illuminare il campo intero. “Non è stato il miglior giocatore al mondo solo perchè non lo ha voluto“, parola di un intenditore. Parola di Veron. Dall’esordio contro il Brescia al gol da centrocampo contro l’Empoli. Fino ad arrivare a quel minuto. Il 93′ di Inter-Sampdoria, con il gol del 3-2 con cui chiuse la rimonta nerazzurra. Apoteosi a San Siro. Estasi massima. Per il dispiacere dell’allenatore avversario. Chi era? Una vecchia conoscenza, Walter Novellino. Pazza Inter, di cui Alvaro Recoba ne incarnava l’essenza più pura e profonda. E forse, proprio per questo, Moratti ne era così innamorato. Catturato. Rapito.

Talento e discontinuità. Genio disinteressato. A Recoba piaceva così.

Marcelo e Suarez: “Chino una foto”

Com’è possibile che questi campioni chiedano una foto a mio padre?”. A chiederselo è Jeremia, il figlio di Recoba. In un mix di sorpresa e incredulità. I campioni sono Suarez e Marcelo, entrambi ammiratori del papà, Alvaro. Perchè è vero, la carriera sarebbe potuta essere migliore. Ma per chi davvero ha compreso e apprezato il Chino Recoba sa bene che, in fondo, è andata bene così. Nel suo essere tanto divinamente forte quanto umanamente discontinuo. Incarnazione dell’romanticismo calcistico. Della passione pura e incontaminata. La storia di un ragazzo arrivato dall’Uruguay, capace, nella sua complicata semplicità, di incidere segni indelebili nella storia del calcio e nel cuore della gente.

Prendere o lasciare. Alvaro Recoba, il genio che fece innamorare Massimo Moratti

Nicolò Franceschin

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