Un po’ di scaramanzia non guasta mai, specie se il giorno in cui inizi l’avventura nel calcio dei professionisti è un venerdì 17. Parliamo di Gionatha Spinesi, ex attaccante di Bari e Catania, che nel gennaio ’97 si trasferì dall’Inter al Castel di Sangro in un giorno “particolare”: “Accettai la destinazione prima ancora che me la proponessero. Mazzola mi disse: <<Abbiamo un’offerta importante dalla Serie B, potrebbe essere una buona occasione p…>>. Non gli diedi neanche il tempo di finire e dissì “sì” senza pensarci due volte”.
Dal Pisa a San Siro
La voglia dell’attaccante di misurarsi fra i professionisti era massima, dopo averli solo assaggiati fra Pisa e gli allenamenti con i nerazzurri: “Passai dalla juniores del Pisa all’Inter in poco più di un anno. Avevo esordito in Serie D e poco tempo dopo mi trasferii a Milano, per me era un sogno. Ero solo un ragazzo, ma non andavo già più a scuola: passavo le giornate a fare fotocopie nell’ufficio del direttore Mazzola, mentre mi raccontava le sue storie leggendarie.
Intanto, oltre a giocare con la primavera mi allenavo tre volte a settimana con la prima squadra e addirittura giocai qualche minuto in amichevole a San Siro contro il Manchester United di Cantona. Pensavo di essere arrivato al paese dei balocchi, non volevo più svegliarmi”.
Tanti avrebbero aspettato nella confort zone milanese, Spinesi no. Come detto, il pisano accettò la nuova destinazione a scatola chiusa, nonostante un pizzico di scaramanzia per la data: “A volte ripenso a quel giorno in cui arrivai a Castel di Sangro. Se da una parte ho fatto una carriera bellissima e non posso lamentarmi, dall’altra mi sono fatto male tante volte e ho dovuto smettere a 31 anni. Non so quale parte della medaglia leggere… (ride, ndr)”.
“Mi offrirono 5 volte tanto, ma dissi no e restai a Catania”
Coincidenze a parte, Spinesi ha garantito gol in tutte le squadre in cui ha giocato. Indimenticabile per lui quel 2006/07 con la maglia del Catania: “Segnai 17 gol in Serie A e iniziarono ad arrivare tante offerte. Mi voleva anche il mio Pisa, all’epoca con Petrachi dirigente e Ventura in panchina, ma fu impossibile trovare l’accordo.
Fra tutte le possibilità, all’estero mi ricordo quella dello Shakhtar Donetsk. Le società avevano già trovato la quadra, dovevo solo dare il mio ok. L’offerta economica era importante, avrei guadagnato 5 volte tanto rispetto al mio stipendio, ma dissi no perché volevo restare in Italia e in particolare a Catania (come Biagianti, qui la sua storia) con la mia famiglia”.
A conti fatti, come conferma lo stesso attaccante, la carriera è da incorniciare. Anche per quel premio di capocannoniere della Serie B vinto nel 2005, seppur poco valorizzato: “Non mi diedero né un trofeo né una medaglia, è un peccato. Non fui invitato neanche al Galà del Calcio come poi successe negli anni successivi. Di quel trofeo mi resta soltanto la soddisfazione della vittoria, ma credo sia importante valorizzare anche i calciatori delle categorie minori. Per questo sono d’accordo che il premio di capocannoniere (prima in Serie B, poi in Serie A) sia stato intitolato a Paolo Rossi. Restituisce la giusta importanza a chi raggiunge un simile traguardo, che non è scontato”.