Chi va nell’Asia Centrale, di Ilyos ne trova parecchi. A volte si scrive Ilyas, altre volte Ilyass. Poco cambia: vuol dire sempre Alessio. Non si offenderebbe nemmeno se lo chiamassimo così: alla fine lui italiano si sente davvero. Vive qui da oltre vent’anni. “E ho casa a Vasto”, ci conferma. Zeytullaev il calciomercato italiano l’ha vissuto parecchio: ha girato molto, conosciuto tante persone. “E ho commesso degli errori che i giovani giocatori non devono ripetere”.
Breve ripasso: attaccante di fascia sinistra o destra, 38 anni, uzbeko. Come Shomurodov. E ha giocato anche nel Genoa come Shomurodov. “Sono arrivato nel 2001 alla Juventus”. Era molto giovane, ma aveva già viaggiato tantissimo. Si parla ancora di Unione Sovietica: “Quando ero piccolo, mio papà allenava una squadra di Angren, il mio paese. Andavo sempre a seguirlo, mi sono appassionato. Quindi mi sono trasferito nella capitale, dove facevo una scuola calcio durissima. Tre allenamenti al giorno: alle 6 del mattino, quindi alle 10, poi alle 16. Tutti i giorni, senza sosta. Ci voleva molta disciplina”, ricorda.
Poi, un altro passaggio: “Andai all’Akademica, la scuola calcio di Mosca, per i ragazzi che provenivano da tutti gli stati dell’Unione. Anche lì, ci allenavamo molto: due allenamenti al giorno, un campionato e tante tournée all’estero, perché da noi faceva troppo freddo e non tutte le squadre d’Europa volevano venire”. E infatti, le sue qualità sono state scoperte in Francia: “Abbiamo fatto molte partite lì. A me aveva chiamato il Bordeaux, che mi piaceva moltissimo per le strutture e per il contatto con la prima squadra, poi ero andato al Feyenoord”. Fino alla chiamata della Juve.
I bianconeri lo avevano visto all’Akademica e lo avevano preso. “Feci un provino di un mese, quindi mi fecero firmare il contratto. Andare in Italia era una sfida, mi piaceva l’idea”. Lo aspettava la Primavera: “Mi allenava Gasperini”. Fino al 2003. Poi era arrivato Chiarenza. “Ed è in quel periodo che ho commesso il mio primo errore”.
Ce lo racconta. “Sono cresciuto tanto nella Juve, è stata un’ottima esperienza formativa. Ma mi era venuta nostalgia di casa, volevo tornare in Russia e non avevo pensato di farmi guidare bene dal club, che è sempre stato tra i più importanti d’Italia e d’Europa. Moggi aveva cercato di convincermi, ma io volevo andarmene e avevo sbagliato in pieno”.
Così, nel 2005 era arrivata la cessione alla Reggina. Sempre in Italia, sì, ma con un rapporto di fiducia un po’ rovinato. In Calabria sarebbe rimasto fino al gennaio successivo, giocando solo due partite. La svolta? La chiamata del Gasp. “Mi voleva a Crotone. Io venivo da un infortunio alla caviglia, conoscevo il suo modo di giocare e non ho perso tempo. Lui poi è bravissimo a ridare fiducia agli infortunati, lo si vede anche adesso”. 13 partite, 3 gol. E una promessa: “Ilyos, sto per andare in una squadra importante. Aspettami, ti chiameranno: vorrei portarti con me”. Non voleva dire nulla, Gasperini: nel calciomercato non si sa mai.
Ma quella squadra era il Genoa, e Zeytullaev ci andò subito. Insieme con Juric: “Non mi stupisce sia diventato allenatore. Era uno di quei leader dello spogliatoio che sa cogliere subito quando la squadra inizia a mollare il colpo: sapeva motivare allora, lo sa fare adesso”. A Genova altri sei mesi, quindi il prestito al Vicenza. Un altro episodio di calciomercato: “Mi ricordo ancora l’orologio. Era il 31 gennaio, mancavano sì e no 5 minuti alla fine del mercato. Ero in una stanza d’albergo, aspettando di capire se sarei andato via. C’erano quattro squadre che mi volevano, poi è emersa la possibilità del Vicenza. Il mio nome fu l’ultimo registrato in quella sessione, avevo paura di non fare in tempo”. Fine di un capitolo?
Macché: in biancorosso, con Gregucci, Ilyos aveva trovato poco spazio. Così, sei mesi dopo, un altro trasferimento in Veneto: a Verona, da Colomba, esonerato dopo pochi mesi e sostituito da Sarri. “Quando arrivò, si presentò dicendo che tutti i giocatori con le scarpe colorate non sarebbero mai scesi in campo. Era molto rigido, ma era anche un’enciclopedia del calcio. Nel tempo, ha cambiato il suo modo di gestire lo spogliatoio e si vede: è tra i migliori al mondo”. Anche Sarri venne esonerato, al suo posto venne chiamato Pellegrini dalla Primavera: “Con lui ho vissuto il momento più bello della mia carriera: segnare il gol salvezza contro la Pro Patria. Fu una liberazione”. Degli allenatori così segnano un percorso. “Un altro è Galderisi, con il quale ho lavorato l’anno dopo a Pescara. È stato una grande guida per me”.
E l’episodio è presto detto. “Centra ancora il calciomercato, sì”, ammette. “Tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, dopo alcuni mesi buoni a Pescara, mi voleva il Benevento. Ero in Uzbekistan per la sosta e decisi di non prendere l’aereo per tornare in Italia. Mi avevano detto che l’operazione si sarebbe fatta, ero pronto a trasferirmi”. Un giorno, però, la sorpresa: “La chiamata di Galderisi. Non sapeva nulla, mi chiedeva per quale motivo non mi fossi presentato per il ritiro. Non conosceva le mie intenzioni, mi disse di tornare e di fare il mio lavoro da professionista. Lo feci ma la pagai a caro prezzo: il rapporto con i tifosi non era più lo stesso e così anche quello con la dirigenza. Mi sono trovato dentro una situazione che non avevo creato io, pur essendone comunque il responsabile. Sarei dovuto tornare subito a Pescara, era una piazza importante: ho commesso un errore di valutazione, frutto dell’inesperienza. I giovani giocatori devono solo pensare al campo. Le trattative vengono dopo”. Parola di allenatore.
“Da quando ho smesso, ho scelto questa carriera”, conferma. È la guida dei Giovanissimi Regionali della Vastese. “Non avrei pensato di iniziarla, ma mi sta piacendo molto”. Ha imparato dai suoi errori, vuole insegnare qualcosa ai suoi giocatori. E ai suoi due figli, che durante la chiamata si sentono in sottofondo. Tutto era partito da suo padre. L’esperienza, ora, continua.
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