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“Prandelli, il Portsmouth e la vita in Italia”: la nuova carriera di Avramov

Quando le parole sono poche, i concetti diventano pregnanti. Nel calcio, la dichiarazione è sempre delicata: può essere fraintesa. A volte anche pericolosa. Vlada Avramov non ama parlare molto in pubblico: “Non sono abituato”. In campo, invece, lo faceva molto. E lo fa ancora. “Sono preparatore dei portieri, è un ruolo che ho sempre amato, anche quando giocavo”. Serbo di nascita, ma italiano d’adozione. 13 anni da noi non si dimenticano.

 


Dal 2001 al 2014: dal Vojvodina è andato al Vicenza; poi Pescara, Fiorentina, Cagliari, Treviso, Torino (per poche settimane), Atalanta. Anche un’esperienza in Giappone, con Ficcadenti allenatore (qui il retroscena sulle operazioni in Giappone), tanto per non farsi mancare nulla. “Ho provato a giocare fuori casa”, dice. Appunto. 

Cagliari, Vicenza e… Portsmouth

L’esperienza più importante? “In Serie A il Cagliari: in tre anni ci siamo sempre salvati, e ho giocato bene. È andata bene anche a Treviso in B, stagione 2006-2007: c’erano anche Juventus, Bologna, Genoa e Napoli e abbiamo chiuso a metà classifica”. Quell’anno, con lui c’era anche Cordaz: “Lo chiamavo Canizares: era uguale a lui”, ride. Poi, prosegue: “In assoluto, il mio migliore campionato penso sia stato a Vicenza”.

 


Era giovane quando era arrivato, aveva 22 anni. Ci avrebbe giocato fino a 26. “Ma avrei potuto cambiare. Nel 2004, dopo una grande stagione con Iachini, mi voleva il Portsmouth. Avevo anche parlato con Redknapp, che si era mosso di persona. Il problema era burocratico: avevo solo il passaporto serbo, non si è mai trovata una soluzione. Delusione? Un po’: mi avevano proposto una cifra che non avrei mai più guadagnato in carriera, e in Inghilterra forse la mia vita sarebbe cambiata. Ma non ho rimpianti”, tiene a precisare.

Firenze: dolori e amori

Solo, è schietto. “E lo ero stato anche con la Fiorentina, quando nel 2008 avevo chiesto la cessione. Avevo davanti a me Frey, che era un fenomeno. Sapevo che non avrei mai giocato. Corvino però aveva spinto perché rimanessi: c’era la Champions, servivano giocatori affidabili”. 

 


 

Allenatori in carriera ne ha conosciuti tanti. Uno è Sarri (retroscena Lazio): “A Pescara. È sempre stato lo stesso, non è cambiato in nulla. Le sue squadre hanno sempre segnato tanto perché faceva un lavoro tattico pazzesco: punizioni, calci d’angolo… era sempre tutto calcolato. Ma il mio preferito era un altro”.

 


 

Come? Il preferito? “Sì, perché?”. Non tutti lo dicono. “Beh, io sì. Era Prandelli. Senza di lui non sarei mai cresciuto e diventato chi sono ora. Mi ha anche voluto nel suo staff in Dubai”. A proposito, quando giocava per Prandelli, lo allenava Di Palma. “Era il mio preparatore, mi ha insegnato tutto quello che so: gli chiedevo spiegazioni sugli esercizi che facevamo, volevo capire tutto”. Ora li propone ai suoi giocatori.

L’ultimo anno è stato in Turchia, al Rizerspor. Lavorava nello staff di Stjepan Tomas, insieme con l’amico Vlado Smit (altra conoscenza del calcio italiano). “Cosa dico ai portieri che alleno? Che la differenza la fanno le uscite. Tra i pali sono bravi tutti, anche in Serie D. E poi bisogna lavorare sulla palla, la rapidità: una volta che si recupera, bisogna passarla subito al compagno libero per far partire il contropiede. È una cosa che mi spiegavano in Italia quando giocavo, era sacrosanta”.

 


 

Adesso Avramov aspetta una chiamata. Un agente ce l’ha. “Avevo, anzi: è Giulio Meozzi. Ora è un grande amico. Ma per la mia carriera ora funziona soprattutto il passaparola: se un preparatore fa bene, una squadra la trova”, dice. “Ora scusate, ma devo andare”. Poche parole. A posto così.

Valentino Della Casa

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