Lazio, Milan, Giappone e… Inzaghi. La nuova vita di Belleri: “In futuro vorrei tornare”

Quando si parte da zero, si deve imparare tutto. E quando vuoi imparare, non devi farti prendere dalla fretta. “Per giocare dove volevo, ho rinunciato anche a tanti soldi”, ci racconta Manuel Belleri. E se adesso parla tre lingue e vive in Giappone (a proposito: la novità) con entusiasmo, lo deve a quell’atteggiamento che non ha mai cambiato.

In campo era uno di quelli su cui contare sempre: ha giocato tra gli anni ‘90 e 2000, partendo dal Lumezzane, per arrivare all’Empoli di Grella e Bresciano, quindi l’Udinese e la Lazio di Delio Rossi, con cui ha anche vinto una Coppa Italia. Poi anche Atalanta, Bologna, Lecce e Spal. Ruolo? Terzino destro da difesa a quattro: di quelli che corrono e che mettono la gamba quando serve.

Belleri e quella proposta della Sampdoria
La svolta era arrivata a Empoli, stagione ‘99-2000: “La mia prima volta in B. Giocai molto bene, fui sorprendente. Quell’anno mi volle la Sampdoria di Enrico Mantovani. Era quasi tutto fatto, l’accordo di quattro anni era anche molto importante ma a una decina di gare dal termine del campionato mi ruppi il ginocchio e non se ne fece nulla”. Rammarico? “Meno di quanto sembri: l’importante per me era tornare a giocare, ero concentrato su quello”. E a Empoli, negli anni successivi, non gli era poi andata così male.

Anzi, a dirla tutta, le sue partite avevano convinto l’Udinese. L’Udinese forte, quello di Di Natale, della Champions. “Poco prima di andarci, ci aveva provato lo Spartak Mosca di Nevio Scala. Mi voleva già a Parma, e mi aveva proposto quest’avventura con un contratto molto importante. Ma non era la Russia di oggi, le strutture erano diverse”. In trattativa erano lui e il suo compagno, Jorge Vargas, centrocampista cileno. “Anche lui aveva dei dubbi, e siccome l’ho sempre considerato molto più aperto di me di fronte ad altre esperienze, ho pensato fosse meglio restare in Italia”. Niente ingaggio faraonico, importava solo giocare.

Belleri-Lazio: “Trattativa inaspettata”
Era la primavera del 2004. In estate, sarebbe arrivato il passaggio ai friulani. Un solo anno, senza nemmeno convincere troppo. E poi la Lazio. “Ero quasi stupito: avevo giocato meno del solito e in posizione adattata, perché Spalletti puntava sulla difesa a tre. Ma nella semifinale di Coppa Italia, contro la Roma, feci una grande partita”. La sconfitta per 3-1 in realtà non mise in discussione la prova del singolo. Anzi. “Sugli spalti c’era Delio Rossi”, che stava per diventare l’allenatore della Lazio. “Mi aveva già seguito altre volte, ma dopo quella partita si era convinto di prendermi. A fine campionato, l’Udinese era arrivato in Champions, ma la chiamata di Lotito per me era impossibile da rifiutare”. Destinazione Roma, con un compagno particolare.
“Simone Inzaghi era già allenatore”
“Ho lavorato con Simone Inzaghi per molti anni: prima al Lumezzane, poi alla Lazio, quindi all’Atalanta. Si capiva già che avrebbe allenato: negli ultimi anni si era fermato per un problema alla schiena, ma nello spogliatoio era comunque insostituibile, un leader“.

“Nella sua carriera da allenatore è stato sostenuto molto ed è stato molto bravo in termini assoluti: in Serie A si dà per scontato che si sappiano fare i cambi e dare i moduli, ma poi si dimentica la gestione dei calciatori. Ancelotti in questo è un numero uno: ha sempre saputo muoversi in gruppi in cui potevano esserci grandi gelosie. E lo stesso fa Simone, che si relaziona bene con tutti e sa come stimolare. E poi è uno di compagnia: quando stavamo insieme all’Atalanta, lui aveva casa a Milano ed è capitato di passare il tempo libero insieme”.

Ora a Milano Inzaghi è tornato a vivere, per gli altri nerazzurri. A differenza di Belleri, che lavora per il Milan a Tokyo. “Sono passati quasi sei anni, sono dt dell’Academy qui in città”. È tutto nato in maniera particolare. “Da calciatore avevo chiuso alla Spal, e l’idea era quella di iniziare a lavorare in società come vice di Bortolo Pozzi, il loro ds che mi aveva già avuto al Lumezzane. Poi però era arrivato il fallimento, e io avevo deciso di andare a vivere a Miami. La mia idea era quella fondare un’Academy lì e tramite il mio amico Silvio Broli lo proposi al Milan, che l’aveva però chiusa da poco tempo. Qualche mese dopo, mi offrirono la possibilità di andare in Giappone. Ora vivo qui, sto imparando il giapponese e formo anche i giocatori, oltre agli allenatori”.

Le fasce d’età sono molte: si parte dai 4, per arrivare ai 12 anni, ma poi ci sono le squadre di ragazzi di 13, 14, 15 e 16 anni. “C’è molta concorrenza: Real Madrid, Barcellona, Liverpool, Chelsea, Inter, Juventus. Anche Perugia e Fiorentina”, ci spiega.

Il sogno? “Provare ad avere un’occasione anche in Italia. Mi piacerebbe entrare in uno staff, capire davvero quali sono i segreti di un allenatore di successo: un conto è giocare e conoscere chi ti guida, un conto è guidare”. Questione di percorsi, prima ancora che di soldi. La lezione è tutta qui.