Quando hai ventidue anni e sei un giocatore di talento, te lo dicono in tanti: “Hai tutta la vita davanti”. Solo che se la squadra con cui stai costruendo il tuo futuro fallisce, allora rimani spaventato. Fabio Quagliarella stava iniziando a toccare il cielo con un dito: nel Torino, che lo aveva finalmente impiegato con regolarità in coppia con Marazzina o Pippo Maniero, era stato protagonista di una cavalcata promozione storica.
A giugno, contro il Perugia, la squadra allenata da Zaccarelli davanti a 60mila tifosi al Delle Alpi tornava in Serie A e con una squadra di tutto rispetto (tra i giovani: Sorrentino, Balzaretti, Comotto e proprio Quagliarella). Sembrava l’inizio di un bel viaggio, ma la Guardia di Finanza aveva interrotto tutto: irregolarità nei conti, la fidejussione non riuscì ad arrivare in tempo e a inizio agosto venne pronunciata la parola tanto temuta. Fallimento.
Roma, Lazio, Milan e...
Che fare? Fabio, spaventato, già da settimane parlava con il suo agente, Stefano Antonelli. “Tranquillo, una soluzione la troviamo: hai talento, se ne renderanno conto”. Nella sua scuderia, c’era anche Gianluca Comotto, che nel giro di poco tempo aveva trovato un accordo con la Roma. “Ma perché non fate anche Quagliarella?” aveva proposto allora Antonelli. Pradé, ds di allora, non era convinto: per la squadra allenata da Spalletti, c’era in mente altro. Se ne parlò anche con la Lazio di Sabatini e Osti, quindi con Galliani e Braida. A Milano, l’incontro fu particolare: di Quagliarella il “boss” (qui la nostra intervista) non aveva bisogno di conoscere i dettagli tecnici, ma voleva sapere il carattere, la famiglia che aveva alle spalle, il suo percorso. Fabio era molto serio, ma il Milan non era convinto: “Cerchiamo giocatori più pronti, noi vogliamo prendere i Drogba”. Un livello troppo alto per quello che all’epoca il giocatore poteva offrire.
Intanto, il Torino era fallito davvero, così come proprio il Perugia: a beneficiarne fu il sorprendente Ascoli di Giampaolo, arrivato quinto in Serie B. A Ferragosto, Quagliarella era ancora senza squadra. “Ma come è possibile?”, si chiedeva lui, preoccupato di dover aspettare ancora a lungo. Antonelli, però, non aveva smesso di lavorarci: con il presidente della Reggina, Lillo Foti, aveva trovato un’intesa su tutto, tanto che all’agente era stato dato un contratto in bianco, già firmato, che sarebbe stato depositato solo se non si fosse materializzata un’altra possibilità magari più remunerativa. Un bel gesto degli amaranto, che vennero però scavalcati dall’Udinese.
L'Udinese
Il 14 agosto, in occasione degli auguri di rito, durante una chiamata a Gino Pozzo era arrivata la proposta. Tempo una settimana, e i documenti erano pronti: Antonelli aveva già trovato anche una squadra a cui prestarlo, proprio l’Ascoli, e il matrimonio si riuscì a combinare. Quell’anno, il secondo di A ma il primo giocato con regolarità, Fabio fece molto bene pur segnando solo tre reti. Si capiva che aveva talento, tanto da interessare a una vecchia volpe come Marotta.
Nell’estate 2006, con l’Udinese venne quindi impalcata una trattativa che riguardava più giocatori: Mirko Pieri (difensore, verso Genova), Salvatore Foti (attaccante, verso Udine) e proprio Quagliarella. Definitivo il primo, in comproprietà gli altri due: Fabio, allora, era stato valutato 1,2 milioni per il 50%. “Avete fatto un affare”, disse Antonelli a un soddisfatto Marotta, che un anno e 13 gol dopo si trovò a trattare fino all’ultimo minuto con l’Udinese. Senza successo.
Le buste pericolose
L’estate 2007, infatti, fu davvero tormentata. Quasi più di quella del 2005. “Stefano, io voglio restare a Genova. Sono grato all’Udinese per le possibilità, ma il mio posto è qui”: continuava a ripetere Quagliarella al suo agente. L’accordo economico però non si trovava, e il rischio delle buste (tanto amate da alcuni presidenti) era sempre più alto. Antonelli, a Milano, faceva spola tra l’hotel Gallia, dove si trovava Gino Pozzo, e il Manin, dove invece invece stava Marotta. Sembrava tutto fatto, ma un articolo di giornale proprio la mattina dell’ultimo giorno utile per trovare un accordo, fece saltare tutto: c’era scritto che Fabio aveva scelto la Sampdoria per le prospettive, informazione che a Pozzo non andò proprio giù.
“Mi dispiace, ce la giochiamo alle buste”. Marotta ebbe dalla presidenza un extra budget per arrivare a inserire 6,5 milioni, ma l’Udinese con 7 milioni e 150mila euro ebbe la meglio. Fu un trauma, per il giocatore ma anche per i blucerchiati, che nelle foto della campagna abbonamenti già lanciata avevano messo in bella mostra proprio un’esultanza di Quagliarella. Uno smacco, che portò Fabio a Udine ma per restarci: 25 gol in due stagioni e una cessione al Napoli a 18 milioni di euro nell’estate 2009 (una cifra simile a quella di Inler).
A conti fatti, un epilogo felice. Che poi a 38 anni, Quagliarella sia ancora protagonista in Serie A, è davanti agli occhi di tutti. Avete visto i gol qui sopra? Nella top 10 c'è anche lui. Bisognava partire da lontano. E crederci.